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GIUSEPPE CACCIATORE
decide di non stampare le pratiche della scienza nuova. A mio avviso Cri
stofolini ha ragione solo in parte quando dice che il problema resta so
stanzialmente insoluto. Penso, invece, che l ’abolizione delle pagine sulla
Pratica nell’edizione del 1744 possa anche derivare dal convincimento
che il nucleo stesso più significativo dell’opera era visibilmente da indi
viduare nella disposizione innanzitutto pratico-civile della nuova scienza.
Vico, nel 1730, è consapevole del rischio che la sua opera possa essere
considerata come una «mera scienza contemplativa d’intorno alla comu
ne natura delle nazioni», possa cioè essere valutata esclusivamente in una
dimensione di teoria sistematico-filosofica della politica. Perciò egli sen
te l’esigenza quasi di colmare un vuoto, quello, cioè, di completare l’am
bito di esplicazione della nuova scienza in direzione della «pratica», di
quel territorio, insomma, che deve essere proprio di quelle scienze che il
filosofo napoletano definisce «attive» e che hanno ad oggetto quelle ma
terie «le quali dipendono dall’umano arbitrio». La nuova scienza deve
dunque volgersi ai problemi e ai contenuti della «prudenza umana», de
ve cioè interessarsi delle modalità e delle regole necessarie affinché le na
zioni «non rovinino affatto o non s’affrettino alla loro roina». Si tratta di
un passaggio cruciale della riflessione vichiana che proprio per questo nel
l ’edizione del 1744 - anche al di là della scelta di non riproporre in essa
le pagine sulla «pratica» - viene esposto sin dall’inizio dell’opera, là do
ve si descrive la lenta e progressiva formazione delle strutture antropolo
giche del mondo umano (dalla divisione dei campi alla origine delle città
e, infine, alla distinzione di popoli e nazioni; e, ancora dal «divagamento
ferino» alle prime forme di stanzialità e di creazione delle famiglie; e, in
fine, dall’originario stupore e timore per i fenomeni della natura alla re
ligione e agli universali princìpi del diritto naturale) fino al compiuto pro
filarsi dei princìpi della «moral filosofia», alla luce dei quali diventa pos
sibile e necessario quel concorso della sapienza volgare dei legislatori e di
quella riposta dei filosofi. «Per li quali princìpi - scrive Vico - tutte le
virtù mettano le loro radici nella pietà e nella religione, per le quali solo
son efficaci ad operare le virtù, e ‘n conseguenza de’ quali gli uomini si
debbano proporre per bene tutto ciò che Dio vuole».
Ma questo è solo uno dei problemi d ’ordine ermeneutico che lo stu
dio della edizione del 1730 e delle aggiunte ad essa comporta. Quel che
è comunque importante rilevare parlando di questo prezioso lavoro di
Cristofolini e Sanna è la attenta e convincente ricostruzione storica ed
ecdotica dei 63 esemplari, con particolare riferimento a quelli possedu
ti dalla Biblioteca Nazionale di Napoli (i famosi H 1e H2 e poi anche l’al
tro cosiddetto di San Martino), quello dell’Accademia dei Lincei, quel
lo appartenente a Croce, quello della Biblioteca Marciana. Si devono poi