RECENSIONI
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‘contrazione’ di questo complesso itinerario alla «leggibilità di momenti noda
li della riflessione di Vico in una chiave storicistica». A meno che non si voglia
intendere - come alla fine lo stesso Nuzzo finisce col riconoscere - per ‘storici
smo’ vichiano, la consapevolezza dell’avvenuto spostamento al centro della sce
na dei grandi temi della politicità e della ‘vita civile’, ma anche della rivoluzio
ne conoscitiva che ha saputo introdurre nel corpo vivo della modernità nuovi
modelli di considerazione e interpretazione dell’umano: la funzione costituen
te del linguaggio, la centralità della logica poetica e la funzione storico-geneti
ca e gnoseologica del verosimile, il ruolo del mito e della narrazione fantastica.
Ma, in effetti, a leggere i due capitoli del libro dove queste tematiche ven
gono specificamente affrontate
(Vico, lo storicismo, gli storicismi
, pp. 1-55;
Gli
studi vichiani di Pietro Piovani
, pp. 241-326), i veri e sostanziali motivi di un
confronto dialettico (fatto, dunque, di adesioni, ma anche di distanze critiche)
non stanno certo in una inutile e improbabile misurazione dei tassi di storici
smo (o di pre-storicismo) presenti nella riflessione vichiana, quanto, piuttosto,
nel convincimento che l’approdo di Vico sulla sponda di una scienza ‘umano
logica’ e storico-genetica del reale non autorizza a collocarlo in una dimensio
ne compiutamente ‘individualizzante’, giacché per lui resta aperto il problema
dei princìpi e delle forme di universalizzazione del reale, così come resta im
pregiudicato il gran tema del rapporto tra metafisica e storia, tra l’ordine onto
logico della storia e la molteplice concretezza del dato empirico reale. Così, an
che se Nuzzo, per sua esplicita dichiarazione, resta nell’ambito di riferimento
dello storicismo critico-problematico, non sono pochi i motivi che lo inducono
a ripercorrere, anche con elementi di distanziamento, da un lato la storia delle
«origini dello storicismo» in età moderna e il posto di Vico in questa o quell’al-
tra genealogia dello storicismo (Vico-Hegel, Vico-Croce, Vico-Dilthey, Vico-
Meinecke) e, dall’altro, a discutere un gruppo di temi che si concentrano sui
fondanti nessi «natura-storia» e «natura-uomo». Sono questi temi, peraltro, co
me giustamente osserva Nuzzo, che appartengono ad una «particolare linea sto
ricistica», cioè a quella linea che dà preminenza all’idea di mondo storico in una
«coerente disposizione antimetafisica nella visuale della storia e nella trattazio
ne della sua conoscenza» (p. 27). Da questo punto di vista non si può certo di
sconoscere il fatto che, al di là dell’ormai oziosa questione dell’appartenenza di
Vico alla famiglia storicistica, egli resti comunque a contrassegnare un punto al
to della riflessione filosofica moderna sulla costituzione genetica e dinamica del
mondo umano e sulla sua connotazione essenzialmente storica, sociale e giuri-
dico-politica (era stato Capograssi, come opportunamente ricorda Nuzzo, ad
affermare che la
«vis veri
vichiana si dispone come
principio di azione
» e, dun
que in una chiave fondamentalmente etico-pratica e anti-intellettualistica).
Con estrema finezza ermeneutica - che non esclude mai l’indispensabile e
puntigliosa analisi dei testi - Nuzzo, pur valutando positivamente l’originalità
filosofica e la densità storiografica di alcune delle interpretazioni più note di Pie
tro Piovani (la fondazione del sapere storico anticosmologico e antiontologico,
da un lato, la costruzione, dall’altro, di una correlata filosofia «senza natura»),