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RECENSIONI
si fa portatore di una più articolata e problematica ipotesi la quale, pur acco­
gliendo ciò che viene definita come «contrazione», prima che come connessio­
ne, tra dimensione ideale della mente e dimensione naturale del corpo, tende
tuttavia a sottolineare la permanenza in Vico di un non consumato residuo di
platonismo. Si tratta insomma di riconoscere - come io stesso ho sostenuto in
alcuni miei saggi su Vico, ma come si può scorgere anche, in verità, in alcune
analisi di Piovani e, ancor più, di Tessitore - la presenza, io direi, più che di un
costruito «ontologismo» speculativo, piuttosto, di un dualismo fondativo, di
una «differenza ontologica» certamente raccordabile all’eredità della metafisi­
ca platonico-cristiana, ma anche consapevolmente pensata proprio al fine di giu­
stificare la piena ed autonoma realtà del mondo storico-civile degli uomini. Co­
sicché, anche se l’originario ontologismo subisce, specialmente nell’opera mag­
giore vichiana, una radicale trasformazione - l’approdo, cioè, ad una «conce­
zione genetica e dinamica dei fenomeni storici e a una visione complessa e plu­
rale del soggetto umano, che sono punti di forza di ogni lettura in chiave ‘sto­
ricistica’» - i motivi dualistici e, per così dire, metafisici non scompaiono del
tutto, anzi si concettualizzano in una serie di coppie e di nessi (mente/corpo,
vero/certo, universale/fantastico, scienza/pratiche) che proprio alla loro ‘ossi-
moricità’ affidano la possibilità di comprensione della costitutiva natura con­
traddittoria e dialettica della realtà umana (sulle forme ‘ossimoriche’ della con­
cettualizzazione vichiana mi sembrano rilevanti le osservazioni avanzate nella
nota 24 di pp. 36-37). «Restando ai termini dell’impostazione critica proposta
da Piovani [...], insomma alla meditazione vichiana sul mondo umano può es­
ser riconosciuto di aver conseguito la caratteristica di essere ‘a-fisica’, ma non
di essere ‘a-naturalistica’, e tanto meno ‘a-metafisica’» (p. 32).
Quel che mi pare importante e innovativo nella lettura di Nuzzo è l’atten­
zione che egli rivolge non tanto alla presenza in Vico di un problema filosofico
e gnoseologico della natura intesa come struttura esterna all’uomo o come do­
minio di leggi fisico-matematiche, quanto alla ‘naturalità’ interna alla mente e
alla stessa struttura della storia. E si tratta non solo di evidenziare l’indubbia
presenza in Vico di una questione che riguarda il ruolo della ‘corporeità’ nella
formazione dell’essere umano e nella storia del lungo cammino della civiltà dal­
la ferinità alla umanità degli ordinamenti civili, ma anche, come sottolinea lo
studioso, di tenere in conto la portata che nel filosofo napoletano assume l’«im-
maginario naturalistico» nella ricostruzione dell’evoluzione della mente e della
storia.
Ciò che, tuttavia, riporta Vico in una costellazione di idee ‘storicistiche’ è,
paradossalmente, proprio la tensione dualistica tra l’ordine della storia e la sto­
ricità empirica. Dico paradossalmente, perché a questa valutazione Nuzzo giun­
ge proprio correggendo e integrando una interpretazione limitativa di Meinecke
(per certi versi anticipata già dagli studi di Tessitore) su quei residui di giusna­
turalismo che avrebbero impedito a Vico di pervenire ad una piena acquisizio­
ne del concetto di individualità. L’universalità ricercata da Vico «non aveva in
sostanza nulla, o assai poco, a che fare con l’assoluta atemporale universalità del
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