RECENSIONI
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L’interessantissima analisi del rapporto di Vico con Virgilio nel saggio su
Le
‘eroicheantichità’ di Virgilio
(pp. 41-62), che mette in luce la preferenza vichiana
per il «dottissimo» Virgilio piuttosto che per il «fiero e selvaggio» Omero, riper­
corre ancora questo tema del rapporto tra struttura retorica e
pathos
emotivo, e
la valenza da questo assunta nel contesto civile: «la possibilità che anche in un’età
dominata dal razionalismo possa esistere quel fuoco, possa realizzarsi una poesia
sublime che conserva il
nocQoq
dei primitivi. Anche nella pacata stagione della lo­
gica e dei sillogismi, sicuri argini razionali, scorre l’oscuro magma delle passioni,
capaci di ridestare risonanze ancestrali, quelle che ancora a detta di Castelvetro
fanno di Virgilio un poeta ‘passionato’» (p. 60). La lettura di Virgilio rappresen­
ta per Vico una possibilità di esercizio del metodo retorico, che l'autore dell’E-
neide
semplifica rispetto alla poesia omerica perché permette un utilizzo con­
temporaneo sia a livello di
retorica docens
che di
retorica utens.
Dalle
Orazioni
inaugurali
alla
Scienza nuova,
attraverso il passaggio fondamentale della distin­
zione tra piano del vero e piano del certo, Battistini mette in rilievo le delicate tra­
me e le diverse strutture di tessuto utilizzate da Vico nell’impiego dell’epica vir­
giliana: «dal modo in cui ne parla si capisce che per lui Virgilio ha compiuto un’o­
perazione riflessa, un lavoro di restauro, in quanto sotto i significati odierni, piat­
ti e scontati, ha intuito immaginosamente i bagliori delle antiche pitture» (p. 55).
Così,
exemplum
di non maggior rilievo è quello dedicato da Battistini all’o­
razione funebre composta nel 1727 per Angela Cimmino, «prova pratica di co­
me, contrariamente alle idee dei romantici, la retorica non sia una remora per
la creatività dell’artista, ma anzi uno stimolo, perché, garantendo in anticipo una
costruzione formale o, a dirla con Genette, un codice di connotazioni, esenta lo
scrittore dal ricercare l’involucro compositivo» (p. 202). In tutti e due i saggi
quel che emerge con adeguata complessità è certo la componente psicologica
ed emotiva all’interno dell’operazione retorica, che ne salvaguarda la vitalità
proprio ponendola sotto la propria giurisdizione.
Un’orazione funebre in fondo mostra una palese e indiscussa vicinanza al
genere biografico, del quale sicuramente deve rispettare la credibilità e la vero­
simiglianza, e quest’attenzione dimostrata per la retorica viene subito affianca­
ta dall’altro interesse forte degli studi di Battistini, quello cioè orientato verso
la composizione biografica. Come il suo bel lavoro del ’90 intitolato
Lo specchio
di Dedalo. Autobiografia e biografia,
si apriva con l’invito al lettore a seguire il
percorso compiuto dall’Alice di Lewis Carroll per entrare nella Casa dello spec­
chio, qui ci viene riproposta (come già nel titolo del saggio originariamente pre­
sentato al convegno sivigliano su Vico del 1999) quella straordinaria metafora
di Virginia Wolff che descrive il genere biografico così vigoroso da mettere in­
sieme nature in sé inconciliabili quali quelle del granito e dell’arcobaleno. E la
trasposizione metaforica calza perfettamente anche a proposito della narrazio­
ne della vita di Antonio Carafa, dove Vico mette a segno «uno spostamento dal
modello delle biografie classiche, centrate sull’evidenza icastica o ipotiposi, al
modello barocco che opera di preferenza sulle ambiguità inquiete delle anfibo­
logie e delle metafore dense di polisemia, attratto dal mondo notturno e ctonio,
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