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RECENSIONI
dove la luce si vela e si complica di sfumature più indefinite» (p. 105). Anche
qui la veste più antica e legata alla classicità, quella di seguire e rendere conto
delle gesta di un guerriero, si lega a un indumento più moderno, quello dell’at
tenzione per la dimensione privata del personaggio, come se alle
Vite
di Plu
tarco si affiancasse la prosa dei
Discorsisopra Cornelio Tacito
del seicentesco Vir
gilio Malvezzi. Con quest’ultimo peraltro Vico condivide l’angosciosa doman
da sul perché chi si occupa di politica debba esibire una poco profonda cultu
ra, come Vico si chiede nel
De rebus,
«opera responsabile di una svolta risoluta
nel suo pensiero, dal momento che, a differenza di quanto aveva creduto al tem
po delle orazioni inaugurali e del
De antiquissima,
la sapienza non basta più da
sola a spiegare la crescita e la grandezza di uno stato, che anzi nella fase auro
rale della sua costituzione potrebbe ricevere danno da una classe politica col
ta» (p. 109). Mutamenti più o meno sensibili rispetto alle biografie classiche ven
gono colti da Battistini attraverso frequenti e analitici ricorsi alle fonti antiche,
ma soprattutto alla trattatistica biografica dedicata fino alla fine del XVII seco
lo ai capitani di guerra, cogliendo con sguardo lucido e appassionato la nuova
e moderna risposta che Vico sa fornire ai suoi tempi.
Antichità e modernità del lascito vichiano che s’intravedono anche nel ca
rattere visivo delle sue pagine, già acutamente descritte da Battistini nel com
mento ai due fondamentali volumi che raccolgono le
Opere
nella collana lette
raria dei «Meridiani» (Milano, 1990), oramai edizione canonicamente utilizza
ta e citata dal lettore contemporaneo di Vico. Qui Battistini ebbe modo di no
tare come la vista avesse in Vico una predominanza sull’udito, proprio perché
più legata alla fisicità corporea delle cose: «perfino i caratteri tipografici, quan
tunque costretti alla sequenza lineare, non rinunciano ad emulare la pitture, al
ternando corsivi, maiuscoletti, titoli intertestuali, parole spaziate con un’abilità
che deve farci ricordare l’attività di epigrafista svolta quasi quotidianamente da
Vico, la cui tecnica non è più [...] ‘oratoria’, ossia mimetica dei suoni, ma ‘la
pidaria’, per il risalto visivo così accentuato da trasformare le frasi in iscrizioni
dilatate» (p. 30). Legati da un filo sottile sul tema della corporeità del linguag
gio e dell’immagine si soffermano e si snodano i due saggi centrali del volume,
quello dedicato a
Scrivere per immagini: scienza dei segni e imprese araldiche
e
quello intitolato
Alle origini dell’universalefantastico.
Anche nel raffronto ob
bligato e suggestivo con le opere di Tesauro, la supremazia della vista diventa
uno dei temi comuni all’Europa dell’epoca e l’attenzione verso queste «fonti
mute della storia» s’interroga sulla modificazione delle testimonianze storiche
alla luce di una nuova visione degli oggetti, tutta moderna nella sua essenza. Lo
studio approfondito dell’antonomasia vossianica permette a Battistini di de
scrivere l’uso dei caratteri universali proposto da Vico mantenendo la centralità
della componente fantastica, ma affiancandole la perizia retorica del linguista:
«quantunque a noi moderni possa sembrare così, l’universale fantastico non
consiste né nella sostituzione di un individuo a una classe, né nella sommatoria
di tanti aspetti giustapposti, ma in un individuo che conserva la sua unità pur
presentandosi in diverse ipostasi. Si tratta della scoperta di come opera il pen-