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RECENSIONI
Anche a questo livello, sebbene appunto su scala diversa, si assiste in effet­
ti - questo appare lasse dell’argomentazione di Remaud - ad un processo di
riappropriazione o reintegrazione del sé. L’approccio di Vico alla questione del­
l’origine, con la sua rottura delle «frontiere interne alla storia» (p. 187), tra fa­
vola e scienza,
mytbos
e
logos
, tradizione orale e tradizione scritta, mira alla crea­
zione di un «archivio» in grado di «riempire i luoghi non occupati della storia
universale», di «esplorare l’immaginario sociale del processo di civilizzazione
nel suo insieme». Qui, dice Remaud, per far parlare l’origine «il sapiente si tra­
sforma progressivamente in narratore [...], reinventa la sintassi e la semantica
di un mondo scomparso» (pp. 190-191). Esemplare di questo processo di rein­
tegrazione è il fatto che - a correzione delle incertezze e delle «borie» della fi­
lologia, della sua «deriva soggettivista» esposta al rischio di ipostatizzare «l’ori­
gine coniugando al singolare il plurale delle tradizioni volgari» e d’individua­
lizzare «la memoria che è per natura collettiva» (p. 211) - l’operazione storio­
grafica vichiana avvia una riforma dell’intelletto d’impronta baconiana, la cui
prima tappa è la
«reductio»
propria della «tecnica dell’oblio» («ridurci in uno
stato di somma ignoranza») prescritta da Vico a chi si voglia accostare ai princì­
pi dell’umanità. Si tratta, in ultimo, di una depersonalizzazione del sapiente, o
del lettore, che lascia al tempo stesso emergere in lui la consapevolezza «che il
passato gli è consustanziale e che egli non è separato dall’origine dell’umanità
se non dalla distanza dei tempi» (p. 224). Attraverso numerosi movimenti, ri-
percorsi da Remaud anche con largo riferimento a fonti classiche, questa du­
plice dinamica di spossessamento e appropriazione conduce l’esercizio intellet­
tuale dello studioso a rendersi familiare con l’alterità implicata in radice nella
conoscenza di sé, con quella «eteronomia costitutiva dell’autonomia» (p. 176)
che era uno dei risultati primari dell’esperienza dello spirito eroico. «Una vol­
ta di più, il sé scopre la vita della durata e la singolare prossimità di ciò che è re­
moto. Ma il filologo deve ancora proseguire il tragitto della sua discesa e com­
pletare il procedimento dell’archivio cogliendo la storia nel movimento della
sua genesi concreta» (p. 280). Si apre così il percorso della «politica del genere
umano»: politica - cioè legislazione che è anche legislazione della provvidenza
- come luogo «di una traduzione sempre rinnovata delle passioni che diminui­
scono il bene comune in passioni che tendono al contrario ad aumentarlo» (p.
282). Dalla «esperienza del lampo» in poi, Remaud ripercorre l’itinerario del
corso delle nazioni nel segno della «attività sotterranea di una potenza civiliz­
zatrice che calma i desideri, modera le impetuosità dei sensi ed estirpa dal fon­
do dell’anima ottenebrata una forza sufficiente a riorientarla verso il vero» - os­
sia nel segno del «freno», del «principio regolatore interno che rende la libertà
socievole» (p. 366) - fino allo smarrimento di questo freno nella corruzione del­
le repubbliche popolari. Qui, dove si impone il problema di una rigenerazione
della storia e si fa presente la possibilità terapeutica, catartica del «ricorso», sem­
bra chiudersi il cerchio con gli intenti pedagogici del cosiddetto «primo Vico».
Remaud infatti respinge una consequenzialità della decadenza alla razionaliz­
zazione delle credenze delle età divina ed eroica - ogni sorta di vichiana «dia-
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