RECENSIONI
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profondimento della relazione tra idolatria e divinazione) e del 1744. La rifles­
sione sul mito, dunque, copre l’intero arco cronologico della speculazione vi­
chiana, il che determina - unitamente alla mancanza di omogeneità delle opere
- un impiego del mito da parte di Vico assai versatile e eterogeneo: «dall’uso,
canonico e tradizionale nel Settecento, del mito con funzione quasi catacretica
[...], alle riflessioni innovative sulla nascita e la funzione del mito nella
Scienza
nuova,
alle occorrenze, sporadiche peraltro, in cui il termine ‘favola’, termine
usuale nel Settecento per significare ‘mito’, viene adottato con un’accezione di-
spregiativa, usato con intenti denigratori e derisori, assimilato all’ambito della
‘menzogna’» (p. XXVI).
Vico pone in maniera assai problematica la questione dell’origine del mito,
per cui comprendere secondo quale accezione egli definisca le favole mitologi­
che come ‘vere’ è per Romana Bassi motivo privilegiato di indagine, e investe la
più complessa argomentazione secondo la quale la verità sottesa ai miti vada in­
tesa come verità metafisica o come motivo di vero storico-sociologico. Lo stu­
dio, quindi, mette bene in evidenza con quanta lucida consapevolezza il filosofo
napoletano si contrapponga a quella tradizione incentrata sulla svalutazione del­
le narrazioni mitiche e sulla conseguente convinzione di una loro incompatibi­
lità con le trattazioni di carattere teoretico e filosofico, dimostrando che dalla
componente di vero riconosciuta nelle favole mitiche è impossibile disgiungere
quella connotazione propriamente etica che spinge il filosofo a qualificarle an­
che come ‘severe’. Così recuperando nel mito la fondazione di una verità stori­
ca strettamente congiunta al momento etico, Vico fin dal
Diritto universale
si
preoccupa, attraverso una modalità del tutto inedita, di individuare per esso uno
statuto di veridicità, e se nel
De uno
traccia le linee interpretative che permet­
tono di chiarire il legame tra le prime forme di legislazione e l’origine del senti­
mento religioso legato ora alla figura di Giove (religione degli auspici) ora a quel­
la di Diana (divinità delle fonti sacre), nel
De constantia
definisce le proprie con­
vinzioni sulla mitologia introducendo il duplice concetto che «il tempo favolo­
so non è che la storia del tempo oscuro» e che «i poeti erano anche teologi, ma
teologi civili, non naturali»
(De cost.,
p. II, caput. XXIII, 1). In modo confor­
me alla scelta metodologica che presiede all’intera indagine, l’A. si sofferma
quindi prima sulla
Scienza nuova
del 1725 chiarendo bene che il senso che qui
Vico attribuisce al mito risiede in un «significato storicamente determinato, le­
gato alla modalità di conoscenza delle prime genti» (p. 19), e successivamente
sulla redazione del ’30 dove rileva che la novità, in questo caso specifico, è co­
stituita dall’impronta fortemente sociologica che il filosofo attribuisce alle figu­
re mitiche che compaiono a quest’altezza, ovvero Vulcano, Marte e Venere uni­
tamente alle personificazioni mitologiche di Tantalo, Mida e Lino. L’attenzione
si sposta poi sull’edizione ultima della
Scienza nuova,
quella del 1744, dove Vi­
co impone definitivamente il principio di verità unito a quello di eticità del mi­
to: «Se pure l’assioma delle verità nascoste nel mito costituiva un elemento a cui
anche gli autori coevi avevano fatto riferimento [...], l’originalità dell’interpre­
tazione vichiana consiste, da un lato nell’intendere tali verità in senso pretta­
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