RECENSIONI
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recenti. Fu Vico il primo a porsi il problema dei rapporti tra metafora, lingua e
cultura. Per questo si può parlare, secondo l’A., di una «svolta vichiana» nelle
scienze del linguaggio: è ora che linguisti e metaforologi comincino a prender­
ne coscienza.
Danesi afferma che è stata la pubblicazione nel 1980 di
Metaphors We Live
By
del linguista George Lakoff e del filosofo Mark Johnson ad aver gettato le
basi in linguistica per uno studio veramente vichiano del nesso che collega me­
tafora, pensiero e linguaggio. Gli studiosi hanno mostrato che la metafora è
tutt’altro che un’anomalia semantica: essa, al contrario, permette di accedere a
gran parte del sistema concettuale di una cultura, rivelando che questo si fon­
da sull’esperienza del mondo. Secondo Lakoff e Johnson è il processo metafo­
rico che presiede alla trasformazione di esperienze vissute in schemi di pensie­
ro astratti. Il nucleo dei nostri sistemi concettuali è, quindi, direttamente radi­
cato nella percezione, nel movimento corporeo e nell’esperienza fisica e socia­
le. La metafora, inoltre, rivela che il pensiero è immaginativo, ed è appunto que­
sta capacità immaginativa a permettere il pensiero astratto. Le ricerche che han­
no fatto seguito all’opera di Lakoff e Johnson hanno portato alla nascita di una
nuova branca della linguistica, la linguistica cognitiva, il cui obiettivo principa­
le è lo studio della genesi dei concetti nel pensiero umano. Questa è stata sin
dall’antichità una delle problematiche più discusse in filosofia. Nel mondo oc­
cidentale la teoria dei concetti che ha sempre dominato - e ancora oggi conti­
nua a prevalere - è quella aristotelica, caratterizzata, secondo Danesi, da due
princìpi fondamentali: il principio dell’autonomia dei concetti - secondo il qua­
le la mente formerebbe autonomamente i concetti o come concreti o come
astratti; tale principio postula quindi l’esistenza di due modi di pensare ontolo­
gicamente ed eziologicamente indipendenti - e il principio dell’organizzazione
gerarchica dei concetti, in base al quale i concetti codificati dalla memoria ver­
rebbero organizzati gnoseologicamente in modo tipologico, per cui certi con­
cetti verrebbero formati e quindi memorizzati come tipi di concetti più genera­
li. La linguistica cognitiva avversa la teoria aristotelica, ritenendo che ci sia una
continuità eziologica tra il dominio del pensiero concreto e quello del pensiero
astratto e, inoltre, che, piuttosto che un’organizzazione gerarchica, ci sia un’in­
terconnessione noetica tra i vari concetti che la nostra mente produce. Dunque
essa oppone alla nozione classica dell’autonomia dei concetti, «il principio del­
la continuità» e alla nozione classica dell’organizzazione gerarchica dei concet­
ti, «il principio dell’interconnessione».
All’analisi di questi due princìpi fondamentali Danesi dedica la parte cen­
trale del testo. Il «principio della continuità» dei concetti vuole formalizzare la
nozione vichiana che la metafora costituisce una capacità conoscitiva innata, la
quale permette di trasformare le esperienze ‘vissute’ schemi di pensiero astrat­
ti. Il cervello umano è dunque da considerarsi, secondo questa prospettiva, co­
me un «organo sensoriale» che trae le sue categorie di pensiero astratto dalle as­
sociazioni immaginative derivanti dalle impressioni sensoriali. Il principio del­
la continuità propone, a differenza della teoria classica dell’autonomia, che i
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