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RECENSIONI
gura morale» che anticipa i paradigmi della metaetica e del non-cognitivismo
morale, è certamente Shaftesbury. Nella puntuale ricostruzione di Crispini - che
al filosofo inglese ha dedicato diversi contributi - emerge quell’aspetto di co
stitutiva ambiguità tra una ricerca di una morale umana riferibile alla natura co
mune e alla socialità (e dunque ancora relazionata ai princìpi della tradizione
etica, politica e religiosa) e la capacità analitica dell’indagine delle situazioni mo
rali, delle percezioni, dei sentimenti individuali. «L’etica shaftesburyana, tra la
nicchia privata
degli affetti, dei sentimenti, delle passioni, e quella pubblica
dei
piaceri sociali, della benevolenza, della simpatia, non sa prescindere da quella
ratio naturae
che sottrae non poco valore e significato ad una morale come co
struzione empirica di un soggetto agente, e non come luogo di categorie astrat
te e di distinzioni prettamente razionali. Non pare possano esservi dubbi che
Shaftesbury rifiuti una morale di pure forme e astratti valori, ma non fa poi il
passo decisivo di liberarla dalla quasi subordinazione e sottomissione ad una
universale, ‘divina’ ratio ordinis»
(p. 82).
L’ultimo percorso affrontato da Crispini riguarda il modello di una «filoso
fia della latenza» quale si può scorgere del pensiero di Diderot. Il pensiero cen
trale che domina la riflessione diderotiana, infatti, è come rendere consistente,
dopo la necessaria opera di demolizione dei fantasmi e delle illusioni della tra
dizione, un processo conoscitivo della mente che non si separi dalla base sensi
bile della natura. Come FA. giustamente osserva, la latenza della filosofia si qua
lifica proprio come un vero e proprio processo di riconversione delle facoltà in
tellettuali modellate sulle certezze e sulle acquisizioni della fisica sociale. Ma
questo processo, in un intellettuale che non esita a portare alle estreme conse
guenze la filosofia dell'illuminismo, diventa paradossalmente l’avvio di una con
trotendenza, di una latenza appunto, che amplia a dismisura il ristretto confine
della ragione critica e naturalistica. «Fuori della ragione, ai margini di essa, in
opposizione al suo campo di possibilità, il philosophe
scorge un mondo vasto,
regioni straordinarie e intravede una ‘controscienza’, una nuova fisica, capace
di rivelarcele. La ‘déraison’ è appunto in primo luogo una ‘magia’ della univer
sale sensibilità vivente; ma è poi anche l’ingresso in un ordine di realtà fatto di
‘simpatie’, ‘unità’, ‘identità generale’, ‘comunità’, un modo di pensare dentro
le
cose» (p. 109).
G
iuseppe
C
acciatore
M
a
RI
a g r a z i
A
P ia,
I fondatori delle nazioni, Pisa, Scuola Normale Superio
re, 2003, pp. VII-127.
Il libro, denso e avvolgente quasi come un gorgo, si immerge nella Scienza
nuova
vichiana, nelle sue stratificazioni, stringe da vicino la tensione che la at
traversa, ne segue, ripete in qualche modo, l’andamento spiraliforme che quel
la tensione originaria, radicata nell’umanità stessa, vi imprime; tensione che è