«AT. CINQUECENTO DOTTI UOMINI SI DIEDERO A COLTIVARE LA TOSCANA FAVELLA...
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Or Dante, che nel suo poema compose tanto l’universale quanto il par­
ticolare, o per via di regola o per via d’esempio o di comparazione, venne a
dare alla nostra lingua espressione per ogni cosa e per ogni concetto, ad imi-
tazion d’Omero, da cui la greca fu con tal arte arricchita.
E siccome Omero
tolse per massa difavellare le parole intese e praticate in comuneper tutta la
Grecia, ed aggiunse a quella tanto voci ed espressioni raccolte da ciascun dia­
letto particolare di Grecia, tra i qualife’ prevalere lo ionico, quanto vocaboli
da lui inventati a somiglianza delle cose, ed anche parole di lingua più antica
da lui richiamate in luce, così Dante abbracciando la lingua comunemente in­
tesa ed usata in iscritto per tutta l’Italia, che volgare appelliamo, accrebbe a
quella parole e locuzioni trasportate da Lombardi, Romagnuoli e Toscani, il di
cui dialettofe’ prevalere.
Onde Boccaccio disse aver Dante scritto in idioma,
cioè idiotismo fiorentino; benché peraltro, secondo il sentimento anche del
Castelvetro, tutti gl’idiomi d’Italia mescolasse. E sparse alle volte anco del­
le voci da lui inventate, ed altre derivate dall’antica, cioè dalla latina4.
In questo passaggio Gravina segue a sua volta - come egli stesso di­
chiara - l’autorità di Castelvetro5 tanto nel riferirsi alla spontaneità au­
to-creativa dell’operazione linguistica messa in atto dai due grandi poe­
ti - i cui nomi egli associa per la prima volta - quanto per esprimere la
convinzione di una ricchezza
della fonte multipla di origine della lingua:
il suo Dante è quello del De vulgari eloquentiab, mentre il presupposto
titamente il prof. Paolo Cristofolini per avere gentilmente messo a nostra disposizione i risul­
tati delle proprie ricerche nelle more della stampa.
4 G .
V.
GRAVINA,
Della Ragion poetica libri due
[1708], in Id.,
Scritti critici e teorici,
a cu­
ra di A. Quondam, Roma-Bari, 1973, lib. II, 3, p. 280; d’ora in poi DRP; corsivo nostro.
5 La convinzione che tanto la lingua di Omero quanto quella di Dante siano il frutto di
una sintetica operazione di raccolta di lemmi e di espressioni attinte dai vari dialetti di Gre­
cia e d’Italia c infatti già in Castelvetro, il quale però non associa direttamente il nome di Dan­
te a quello di Omero: «Laonde il poeta, senza imprendere fatica di discorrere qua & là per
tutte le corti d’Italia può con molta agevolezza ammendare & adornare la lingua sopradetta
[la fiorentina unita a quella di Dante e Petrarca] col fiore di tutte le lingue italiane raccolte in
un luogo. E così [Calmeta] afferma avere fatto Dante Alighieri, & Francesco Petrarca». E più
oltre: «Ma che diremo d’Homero, il quale congiunse insieme & in una testura sola non sola­
mente le lingue di due nationi ma di quattro anchora?» (
Correzione
, pp. 216,241).
6 «E [Dante] sparse alle volte anco delle voci da lui inventate, ed altre derivate dall’anti­
ca, cioè dalla latina. Qual suo consiglio Dante volle a noi comprovare non solo coll’immorta­
le esempio del suo poema, ma col libro ancora
Della volgar eloquenza,
scritto ad onor della
lingua illustre e comune d’Italia, ch’egli volle, seguendo l’uso letterario e nobile delle corti e
dell’academie e del foro, abbracciare»
(DRP,
lib. II, 3, pp. 280-281, ma cfr. anche
ibid.
pp.
281-282). Fonte di Gravina è qui probabilmente pure Trissino: «Ma sia come si voglia, tutte
queste difficultà sono spianate, e dichiarite da Dante, nel libro della volgare Eloquenzia, nel
quale insegna a scelgere da tutte le lingue d’Italia una lingua Illustre e Cortigiana; la quale no­
mina lingua volgare Italiana» (G. G.
TRISSINO,
Il Castellano Dialogo di Messer Gio: Giorgio
Trissino. Publicato sotto nome di Arrigo Doria. Intorno al Titulo della Favella Nobile d’Italia
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