270
AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
periori e cognitive, e, ancora, la specificità
dell’umano e della mente umana.
Il
recente libro di Nicola Perullo,
Bestie
e bestioni. Il problema dell’animale in Vico
(Napoli, 2002), costituisce, nelle poche pagi
ne dell’articolo, il terreno possibile dell’in
terrogazione, meritevole, tra l’altro, di porre
al centro dell’indagine un ambito in parte
trascurato del pensiero vichiano, quello de
dicato alla «bestialità» e corporeità umana.
[M. R.]
43.
M
arti
ONE
Arturo,
G. B. Vico e il sen
so comune. Note di letteratura e qualche pro
posta in discussione,
in
Filosofia, storiografia,
letteratura. Studi in onore diMario Agrimi, 2
voli., a cura di B. Razzotti, Lanciano, Itine
rari, voi. I, pp. 411-421.
Nota l’A. come Vico, attraverso il «sen
so comune», abbia da un lato cercato una
strada per il superamento della «filosofia mo
nastica», mentre dall’altro si sia impegnato
«in una impresa speculativa tale da non per
dere mai di vasta il terreno di coltura proprio
di quella costellazione semantica (e retorica),
che è (e resta) quella del ‘Senso’, nella dupli
ce denotazione di
facoltà del sentire
[... ] e di
attribuzione di senso»
(p. 413). In effetti, Vi
co sottolinea come ogni pratica di senso non
è mai privata: «essa è soltanto
in-comune,
ov
vero non è» (p. 415). In tal modo si evince
però che il «senso comune» non ha una sua
«sensatezza» in
ogni
pratica di senso, ma so
lo quando tale pratica è «in-comune»: «det
to altrimenti, anche chi fa mostra di pratica
re un senso solitario e privato non può, al me
desimo tempo, non mostrare di fare pratica
del Senso comune» (pp. 416-417). Non si
può d’altra parte non riprendere quella di
varicazione «fra la pratica di senso come de
rivante da una particolare
facoltà del sentire
e quell’altra che è espressione di una certa
at
tribuzione di senso»
(p. 418), ma lo stesso
Martone riflette su come in realtà
«l'espres
sione
di una tale facoltà comporterà e com
prenderà, al medesimo tempo, anche una
certa
attribuzione di senso»,
perché sono le
emozioni stesse «a fornire di
sensatezza,
ov
vero
insensatezza,
quanto con quelle emo
zioni e passioni viene esperito»
(ivi).
Allora,
l’accordo su una «comunanza» tra gli uomi
ni non può essere sancito in base alle regole
di una convenzione, «ma è invece quel prio
ritario accordarsi in un sentire diffuso e
in
comune
a stratificarsi come ‘convenzione’, e
operare socialmente come ‘norma’»
(ivi).
La
poesia è in un certo senso emblematica per
mostrare la divaricazione e insieme la con
vergenza tra il «senso comune» come facoltà
di sentire e come attribuzione di senso, in
quanto per Vico tanto la poesia quanto il
«senso comune» sono rappresentati «dagli
stessi tratti distintivi:
un sentire che non è as
sistito da un saperecircaquestomedesimo sen
tire»
(p. 419). Le considerazioni conclusive
di Martone spostano l’asse del discorso su te
mi contemporanei; infatti, «il riconoscimen
to di questa serpeggiante (e immanente)
difformità del sentire già più non sarà una
questione di cui possa segnalarsi l’emergen
za nel
sentire
vichiano» (p. 420). Sarà invece
nell’incrocio di culture intrinsecamente dif
ferenti che l’uomo d’oggi è indotto «a cerca
re dentro la categoria del senso comune una
guida per leggere quanto si dissemina
fuori
di noi,
e anche quanto ci attraversa
interna
mente,
ancora disposti cioè a leggere dentro
la ‘comune natura delle nazioni’» (p. 421).
[A. S.]
44.
M
isan
MONTEFIORE
Jacques,
Vico, la
traduction de Michelet et la presse,
in «Filo
sofia oggi» XXV (2003) 3, pp. 331-338.
Nell’ambito del tema più generale della
‘scoperta’ di Vico nella cultura francese del
la prima metà dell’Ottocento, l’A. esamina
brevemente i commenti alla traduzione-rie-
laborazione della
Scienza nuova
ad opera di
Michelet, apparsi su uno dei più significativi
giornali francesi degli anni ’20, «Le Globe»,
espressione del gruppo dei
doctrinaires,
alla
cui redazione collaborarono fra gli altri Th.-
S. Jouffroy, J.-Ph. Damiron, Ch.-H. de Saint-
Beuve e Stendhal.
Dall’analisi di un corpo di sei articoli ap
parsi fra l’agosto 1826 e il gennaio 1830, an