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avvisato ri
;
b ib lio g r a fic o
losofi e filologi, Vico ricerca le leggi eterne e
valide in tutti gli universi possibili della sola
scienza nuova
della storia. Perciò, l’A. insiste
assai efficacemente sull'importanza e la fun­
zione dei «modelli teorici» (p. 413), su quel­
l’interesse per la «formulazione della legge»
concepita in astratto come in Galilei (p. 414),
ma senza alcuna concessione alla tradizione
del geometrismo cartesiano né al «platoni­
smo» galileiano. Qui cade anche il senso del­
la scelta del metodo baconiano, impegnato a
controllare le ipotesi e a
vedere neifatti.
In
proposito, l’interprete esamina i §§ 163 e 359
della
Scienza nuova
1744, mostrando le ra­
gioni che hanno spinto il filosofo napoletano
a trasfigurare il contenuto dei
Cogitata et vi­
sa,
un testo che, diversamente da quanto so­
stenuto da recenti «devoti» studiosi (come
Marta Fattori, cfr. pp. 418-421), Vico non les­
se mai e di cui forse conobbe solo il titolo, tra­
dotto con quell’espressione «pensare-vede-
re», estranea all’originale e allo «spirito» del­
la teoria baconiana (pp. 420-421). Diverso è
il discorso sul
De dignitate etaugmentisscien­
tiarum,
di cui si segnala pure l’approssimati­
vo riferimento in Vico che lo indica come
li­
bellus,
facendo pensare (al Nicolini come al
Battistini) alla tabella posta nella conclusione
dell’opera («Novus orbis scientiarum sive de­
siderata»); un’ipotesi, tuttavia, che al Rossi
appare inverosimile, considerato il richiamo
non solo alle «scienze desiderate» ma allo svi­
luppo di «quelle che abbiamo» (p. 424). Ciò
attesta, invece, l’intenzione di edificare una
scienza nuova che unisca, trasformandoli,
cartesianesimo geometrizzante e baconismo
sperimentalista, teorizzando una storia da
meditare in
idea
e riscontrare nei
fatti
(p.
425). Per giungere a tanto, la «necessità ha
preso il posto di una possibilità» (p. 426), al
punto che Vico ha presentato la sua impresa
come scienza e l’ha confrontata con la scien­
za della natura
(ivi).
Nella maggior parte de­
gli interpreti, inclini a chiedersi se Vico aves­
se ragione o no a parlare di scienza, è preval­
sa, a giudizio di Rossi, la tendenza di matrice
crociana a denunciare la separazione di temi
e problemi indebitamente mescolati o ingiu­
stamente separati: dalle ben note indagini di
Auerbach, convinto che alla questione della
scienza Vico si atteggi con «eccesso di rispo­
ste» (p. 428), a quelle di Berlin che ha fatto
di lui il «primo pensatore che comprese la dif­
ferenza tra l’analisi scientifica e quella stori­
ca»
(ivi).
Né meno significative risultano le
indagini di Pompa, cui Rossi tributa un con­
vinto elogio, pur segnalando i limiti dell’in­
trodotta classificazione-distinzione tra «tesi
induttiva» e «tesi deduttiva»; uno schema ap­
plicato anche all’interpretazione del Rossi,
che giudica inaccettabile l’avvicinamento
della sua lettura a quella di quanti hanno con­
siderato centrale l’incontro tra empirismo an­
glosassone e razionalismo, pur nella convin­
ta accentuazione dell’«uso [...] della teoria»
(p. 429). A render ragione di tale dissenso
concorrono le osservazioni conclusive, volte
a mostrare in Vico un «pensare a due livelli»,
quello della conoscenza genetico-unilineare
della storia e quello della ricorsività dei suoi
processi, della descrizione empirica e della
presenza di leggi formali del divenire: «Solo
questo pensare [...] consente [...] di coglie­
re insieme e contemporaneamente la varietà
e la persistenza, il divenire e le ripetizioni, le
novità e le identità, i significati nuovi e il ri­
presentarsi di significati identici in differenti
situazioni storico-temporali. Traducendo Vi­
co nel nostro linguaggio novecentesco, è ne­
cessario, in vista di una scienza del mondo
umano-storico, essere insieme e contempo­
raneamente storicisti e strutturalisti» (p.
431 ). Lo conferma il problema, fondamenta­
le nella biologia attuale, del rapporto tra
ana­
logie
e
omologie
, tra strutture formali simili e
somiglianze legate a una discendenza comu­
ne, rapporto che può essere riproposto negli
ambiti più diversi, non immemori del mo­
dello della
Scienza nuova
: «Perché mai, dopo
Vico, non sarebbe lecito essere alternativa-
mente (o anche
contemporaneamente)
atten­
ti alle omologie (ovvero al cammino che è sta­
to percorso per arrivare a un certo risultato)
e attenti alle analogie (ovvero ai limiti o ai vin­
coli ai quali è sottoposta la varietà dei feno­
meni)?» (p. 433).
[F. L.]
70.
Rossi Paolo,
Vico, i miti riflessi nei
fatti. Come la mitologia può influenzare dirii-
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