AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
287
82.
T
rabant
Jiirgen,
Sprache der Geschi-
chte,
in «Jahrbuch des Historischen Kollegs
2002» 2003, pp. 41-65.
I] saggio espone le linee di una ricerca
sulla «lingua della storia» prendendo le
mosse proprio da un detto vichiano, e cioè
il § 35 della
Scienza nuova
che tratta appun
to della «lingua con cui parla la storia ideal
eterna». Questa locuzione vichiana è
senz’altro una sfida alla riflessione, e non so
lo per uno studioso di linguistica, e ben si
presta al
linguistic turn,
alla svolta linguisti
ca dell’attuale dibattito storiografico. Di
questa locuzione l’A. evidenzia alcune am
biguità in quanto, da una parte, ne scaturi
sce una personificazione della storia come
soggetto parlante, come uno
zoon logon
echon,
e dall’altra, riguarda anche la lingua
degli storici, cioè la lingua nella quale si
esprime la storiografia. D ’altronde è noto
che il concetto di storia sia esso stesso am
biguo comprendendo sia le
res gestae
sia la
historia rerum gestarum,
ed ambedue non
possono fare a meno della lingua. In segui
to l’A. precisa che questa «lingua della sto
ria» è da intendersi come un lessico, dunque
non una grammatica o sintassi né un discor
so o azione comunicativa, ma piuttosto un
sistema. E la coincidenza di questa lingua
della storia con «la lingua di questa scienza»
che porta, secondo l’A., al concetto vichia
no di un «dizionario mentale comune», of
frendo allo stesso Trabant l’occasione di ri
badire la sua interpretazione della filosofia
vichiana come svolta linguistica. Dalla ese
gesi vichiana l’A. passa in seguito alla consi
derazione della odierna lingua della storia
trattando, tra l’altro, il rapporto fra l’avve
nimento della storia e l’immanenza lingui
stica del discorso storico in autori contem
poranei quali R. Barthes e H. White. Così si
chiude questo «piccolo tentativo intorno al
la linguistica della storia» (p. 63) senza però
dimenticare che sebbene la rappresentazio
ne sia linguisticamente generata
(sprachlich
generierte Darstellung),
ciò non è affatto mo
tivo per dubitare della fattualità dell’acca-
dere storico.
83.
T
rabant
Jiirgen,
Vico’s New Science
ofAncientSigns. AStudy ofSematology [Neue
Wissenschaft von alten Zeichen: Vicos Sema
tologie
[Frankfurt A. M„ 1994], transi, by S.
Ward, London -New York, Routledge, 2003.
84.
V
elazquez
D
elgado
Jorge,
La cue-
stiòn de la gloria en el imaginario politico de
NicolasMaquiavelo,
in
Eroi ed età eroiche at
torno a Vico. Atti del Convegno internaziona
lediStudi(Fisciano-Vatolla-Raito, 24-27mag
gio 1999),
a cura di E. Nuzzo, Roma, Edizio
ni di Storia e Letteratura, 2004, pp. 19-36.
La fama, che per Machiavelli si può con
seguire con la virtù dell’agire proiettato a ero
dere il peso esercitato dalla fortuna sull’esito
degli eventi, è, secondo PA., uno dei tanti ele
menti, insieme alla rivalutazione della bellezza
terrena, del potere, della ricchezza, ecc., che
partecipano efficacemente - costituendone
nel contempo un indicatore - a quel processo
di secolarizzazione caratteristico della cultura
rinascimentale. È questo il motivo per cui è
possibile riconoscere nell’aspirazione alla glo
ria, così come questa si diffuse nel Rinasci
mento italiano, un tratto di
hyhris
e dunque
ravvisare in essa una «fuerza transgresora de la
religión» (p. 24). L’uomo che con le proprie
imprese vuole lasciare una traccia indelebile di
sé deve infatti rinunciare non soltanto al con
sueto
habitus
religioso dell’umiltà, ma anche
al «sentimiento cristiano de la culpabilidad»
(ivi):
il suo agire in grande è un’espressione
prepotente di forza e di vitalità mondana che
gli consente, dopo la morte, di sopravvivere
grazie al ricordo depositatosi nella memoria
collettiva, guadagnando così con l’eroismo
quella che l’A. chiama una «immortalidad ter
rena» (p. 26). In tal modo, con la riduzione
della divinità «a una condición marginai» (p.
34), la gloria diventa una forma di celebrazio
ne laica dell’uomo e dell’immortalità indivi
duale, di cui è testimonianza la proliferazione
in età rinascimentale di «retratos, autorretra-
tos, biografias y autobiografias» che si posso
no interpretare come mezzi «para vencer a la
muerte» (p. 32).
[Th. G.]
[R. D.]