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JOSRP MARTfNEZ BISBAL
favolosa che sfocia nell’età umana, e sono: il fascio romano, la spada, la
borsa e la bilancia2.
Dal lituo all’aratro, con la divinazione e i sacrifici, la famiglia di soli
figli e le sepolture (vale a dire, con la successiva apparizione dei tre princì
pi della
Scienza nuova),
e con la coltivazione e la divisione dei campi (la
prima proprietà delle terre) si stabilisce lo stato sedentario finale dei po
chi giganti forti che, sulle cime delle montagne, di fronte al richiamo dei
fulmini e dei tuoni, alzarono i loro occhi al cielo, fantasticarono Giove,
credettero in lui e con pudore si spaventarono. In quanto famiglie pa
triarcali agricole - di soli figli - esse vivranno a lungo separate e nasco
ste nei boschi sacri, nei loro
luci-
«terre bruciate dentro il chiuso del bo
sco» - per consiglio della provvidenza, affinché i «già venuti all’umanità
non si confondessero di nuovo co’ vagabondi, rimasti nella nefaria co
munione sì delle cose sì delle donne»3.
Contrapposto all’aratro, il timone chiude l’età divina e significa « l’o
rigine della trasmigrazione de’ popoli fatta per mezzo della navigazio
ne»4. Il timone, nella sua posizione al termine dell’età divina, come sim
bolo della navigazione e della trasmigrazione, indica una nuova disper
sione. Non senza una certa sorpresa per il lettore e in modo alquanto re
pentino, in contrapposizione allo stato sedentario appena descritto co
me culla dell’umanità, appare la mobilità, un nuovo vagabondare quan
do tutto lo sforzo di umanizzazione si era concentrato nel porre fine al
deambulare successivo al diluvio. La posizione relativa del timone ri
spetto all’altare e all’aratro rende conto del processo che unisce tale con
trapposizione.
In primo luogo, precisa Vico, il timone s’inchina ai piedi dell’altare e
con ciò significa gli antenati di coloro che faranno la trasmigrazione, e li
mostra nel loro senso di inferiorità e prostrazione di fronte all’altare: so
no gli empi, nefari, bestie senza società, tutti soli, deboli, miseri e infeli
ci, vale a dire i giganti vagabondi ancora «bestioni» nella selva che non
furono sensibili al fulmine e, tra loro, in particolare i più deboli, coloro
che in fuga dalle lotte provocate dalla «ferina comunione» e perseguitati
dai più forti, entrarono nelle terre arate per trovare «scampo e salvezza».
Nei limiti dei
luci
ha luogo dunque il contatto con gli empi «vaga
bondi», contatto che era da evitare. I pii padri uccidono i forti violenti
2 Id.,
Principi di Scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni
[1744], in Id.,
Opere,
2 voli., a cura di A. Battistini, Milano, 1990, voi. I, § 40; d ’ora in poi
Sn44.
3
Ibid.,
§ 16.
4
Ibid.,
§ 17; la spiegazione completa che riassumo qui di seguito corrisponde ai §§ che
vanno dal 17 al 20.