IL TIMONE
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e accolgono i deboli come famoli, in cambio dei mezzi di sostentamen­
to per la loro vita, come «abbozzi degli schiavi».
Nondimeno, dall’entrata di questi esseri miserabili, bisognosi di tut­
to, nelle terre circoscritte dove i fondatori dell’umanità, nel legarsi alla
terra, perdevano l’abitudine dell’andar «vagabondi», da questo fatto, de­
riva il nome di ‘famiglia’, e come rami di un tronco, scrive Vico, sorgo­
no le origini degli asili, delle famiglie sulle quali sorgeranno le città, del­
la realizzazione stessa delle città, delle giurisdizioni, dell’estensione de­
gli imperi, delle armi gentilizie, della fama e della gloria, della vera no­
biltà, del vero eroismo, della guerra e della pace. Anzi - e conviene sot­
tolinearlo - qui si scopre il disegno della «pianta eterna delle repubbli­
che», fondata sui princìpi eterni del mondo delle nazioni, che sono la
mente e il corpo degli uomini che la compongono. L’apparizione del fa-
molo è l’apparizione del ‘corpo’ sociale e della relazione di questi con
coloro che già dominano il proprio corpo e che perciò diventano la ‘men­
te’ sociale della prima società. L’entrata dei famoli avvia la distinzione tra
una parte nobile che deve comandare e una vile che deve servire, distin­
zione che sarà principio eterno delle repubbliche; infatti, in ognuna di
esse, afferma Vico, coloro che usano la mente devono comandare e co­
loro che usano il corpo devono obbedire. La natura corrotta dell’uomo
(la caduta, il peccato originale cristiano) impedisce di contemplare un’u­
manità, o piuttosto una repubblica, che sia pienamente sociale, giacché
se pochissimi sono coloro che con l’aiuto della filosofia ottengono il do­
minio della mente sul proprio corpo, la persistenza del corpo sociale è
inevitabile.
L’inclinazione verso l’altare stabilisce altresì la causa della distinzio­
ne: i famoli non hanno un dio e perciò non partecipano né alle cose di­
vine né a quelle umane proprie di coloro che li accolgono. In particola­
re non partecipano alle nozze e agli auspici, e in ciò si radicherà l’origi­
naria differenza tra nobili e famoli, tra coloro che si attribuiscono un’o­
rigine divina, essendo stati generati da nozze solenni, e coloro che sono
di origine bestiale, essendo stati generati da «nefari concubiti». Eroi e
famoli nascono in modo diverso, per questo motivo hanno diversa na­
tura e l’eroismo si crede naturale (come, avverte Vico, accadde tra gli egi­
zi, i greci e i latini) dato che è legittimato dalla nascita secondo gli au­
spici, ossia dal suo originario ed esclusivo vincolo con l’altare.
In secondo luogo, Vico evidenzia che il timone si trova lontano dal­
l’aratro che, ostile, lo minaccia con la punta. Esso rappresenta le conte­
se «agrarie» cui danno vita i famoli quando, dopo «lunga età», non aven­
do il diritto di proprietà delle terre e «stucchi» (stufi) di dover servire i
signori, si ammutinano. E qui compare il perché del timone come sim­
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