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JOSEP MARTINEZ B1SBAL
la servitù»9, e non i nobili impegnati a difendere e a conservare il mondo
poetico fonte del loro potere, a dare la lingua e il nome alle nazioni e a
formulare le leggi, a conseguire il completo sviluppo della natura umana,
compresa la tenerezza per i figli10. Nella storia dei greci, la cui età divina
Vico ricostruisce come paradigma, l’età divina dura novecento anni e si
può congetturare che l’ingresso dei famoli nei
luci
avvenga circa quattro-
cento anni dopo l’avvento del fulmine, mentre il primo ammutinamento,
la prima rivendicazione della proprietà della terra fatta in nome del lavo­
ro che in essa svolgono - per non essere ‘figli della terra’ - avviene circa
cinquecento anni dopo la loro incorporazione11. Questa prima coscienza
di sé, dopo cinquecento anni, nella cui difesa rischiano per la prima vol­
ta la vita, suppone, inoltre, anche se di ciò non vi è traccia nella
Scienza
9
Ibid.
,§ 583.
10 Su lingua, leggi e nome cfr., tra l’altro,
ibid.,
§§ 32,936, 1006,1017. Sulla tenerezza per
i figli, invece, §§ 951, 994.
11 La rotondità delle cifre merita alcune precisazioni. La durata di novecento anni è fis­
sata dallo stesso Vico (cfr.
ibid.,
§§ 69,736). Tanto il tempo trascorso dalla creazione di G io­
ve fino all’ingresso dei famoli, quanto quello trascorso da quest’ultimo avvenimento fino alla
rivolta e alla prima legge agraria, sogliono essere descritti da Vico con la stessa espressione:
«a capo di lunga età» o «dopo lunga età» (cfr.
ibid.,
§§ 20, 553, 583, 1099). Vi è soltanto un
paragrafo in
Sn44
che, anche se con una certa ambiguità, consente di fissare gli anni. Nello
stabilire la peculiarità della fondazione di Roma come città nuova, non nata da una rivolta
agraria bensì, sin dall’inizio, come asilo, Vico sostiene che «dovette passare un duegento an­
ni perch’i clienti s’attediassero» e, con Servio Tullio, arrivasse la prima legge agraria romana,
e in proposito precisa: «il qual tempo aveva dovuto correre nelle antiche città per un cinque­
cento anni perché quelle si composero d ’uomini più semplici, questa di più scaltriti»
(ibid.,
§
613). Sembra, dunque, che il corso normale da quando i
luci
divengono asili fino alla rivolta
sia di circa cinquecento anni.
La prima «lunga età», quella che crea e costituisce i
luci,
è carica di contenuto in
Sn44
al­
l’interno di un racconto esteso e intenso che va dalla prima metafora fino alla riduzione, fatta da
Ercole, della selva in coltura agricola e alla delimitazione dei campi con la simultanea creazione
delle divinità dei limiti del territorio, divinità sanguinarie e guerriere alle quali vengono sacrifi­
cate le prime vittime religiose, proprio i bestioni selvaggi che pretendono di invadere la pro­
prietà. Tuttavia, la seconda «lunga età», dall’incorporazione dei famoli fino alla rivolta, è al­
quanto ‘vuota’. Si tratta di un tempo di cui poco più in là viene menzionato il fatto che in esso
avviene, da una parte, la degenerazione dei signori con la perdita delle prime virtù e la pratica
degli abusi sui famoli/clienti, e dall’altra, la stanchezza di questi ultimi dovuta al fatto di essere
soci soltanto di fatiche ma non di conquiste e di gloria. L’indicazione di cinquecento anni evi­
denzia ancora di più il vuoto di contenuto nel racconto di quel tempo che va dall’apprendista­
to e dall’evoluzione dei famoli fino alla consapevolezza dell’ingiustizia della loro situazione e al­
la decisione di ribellarsi. Bisogna ricorrere al
De constantia iurisprudentis,
dove l’età divina si
presenta articolata in due epoche ben differenziate (quella teocratica familiare e la successiva
che include le clientele dei rifugiati) per trovare un racconto più ricco e interessante dei detta­
gli e delle circostanze materiali del periodo, ma analizzare questo primo saggio vichiano di ri-
costruzione filologico-scientifica e le variazioni che subisce fino alla versione finale del 1744 -
indizi di una direzione del pensiero del filosofo napoletano - esula dai limiti di questo lavoro.
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