IL TIMONE
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sembra lasciare una scappatoia a coloro che fuggivano «per non essere
oppressi e trovare scampo e salvezza». La dispersione che il timone sim
bolizza in contrapposizione, da un lato, all’aratro e, dall’altro, ai fasci,
simboli della riaffermazione nel territorio, riceve una scarsa trattazione
e i suoi primi protagonisti del primo ammutinamento scompaiono o si
confondono con gli altri o, caduti nella rete di Vulcano eroico, hanno un
destino funesto. La favola
è
interpretata in tal senso già a partire dalla
Scienza nuova
del 1725*3, dove la rete di Vulcano
è
il «nodo eroico», ma
è
un caso particolare che accade «onde vennero i coloni oltremarini in
terre di già occupate», vale a dire nel caso in cui il loro divagare li aves
se portati verso le coste già colonizzate dall’ordine degli eroi, condizio
ne particolare che scompare nell’interpretazione della redazione del
1744. Ed
è
questo un caso particolare perché nella redazione del 1725 si
trova la storia del caso generale, la storia delle prime colonie marittime
del Mediterraneo e dei loro protagonisti; ad essa dobbiamo, dunque, ri
correre per capire il significato del timone della «Dipintura».
Nella
Scienza nuova
del 1725 la scoperta della «guisa delle colonie
eroiche oltremarine» merita una sezione tutta impegnata nel «far verisi
mile che capi di picciole brigate, con pochi battelli, senza forza d’armi
[...], senza inondazioni di nazioni intere [...], per lo non tentato innan
zi Mediterraneo (che a quelli dovette essere quale ora a’ nostri europei
è
l’Oceano), avessero tragitato le nazioni, di Egitto e di Asia, ne’ lidi del
mar Interno»34. La storia
è
la seguente: Vico spiega la propagazione del
genere umano facendo riferimento a due specie di colonie ultramarine,
entrambe «di moltitudine di uomini con certi loro capi vinti o premuti
da contrarie fazioni in eroiche turbolenze per cagion del diritto del no
do», perché due sono i motivi delle contese che portano alla fuga, il pri
mo «perché la moltitudine non potesse nelle terre native sostentare la vi
ta con le camperecce fatiche», e il secondo «perché le plebi fossero strap-
pazate da’ nobili fino all’anima». Questi due tipi di conflitti - mancanza
di sostentamento o spietato maltrattamento - accaddero spesso in Egit
to tra sacerdoti e contadini «e sempre con la peggio de’ villani, i quali
per fuggire l’ira dei vincitori» avevano due vie d’uscita: o per terra si in
sediarono in Africa, o per mare, con le barche del Nilo, «disperati, si
commisero alla fortuna di ritruovar nuove terre». In Egitto si trova, quin
di, il principio della trasmigrazione marittima, e tale principio
è
- se
condo Vico - anche il modello, oltre che dell’Egitto e dei conflitti tra sa
cerdoti e contadini, proprio della Fenicia e delle altre nazioni dell’Asia.
33
Sn25,
§ 465.
34
Ibid.,
§§ 230-240; per il proposito della verosimiglianza cfr. in partic. § 237.