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FABRIZIO LOMONACO
za cancellarla, la «gerarchia» interna alla sua struttura fondamentale,
considerato che «la repubblica è formata nella sua totalità di due ordi
ni: uno comanda, l’altro obbedisce»19. Ciò spiega l’avvio della dramma
tica lotta tra patrizi e plebei nella
civitas
che, con le XII Tavole, ha con
vertito in rapporti di diritto le contrastanti utilità e le precedenti rela
zioni di potere, senza mai, però, annullare il valore nella storia di ten
sioni e conflitti, motori ineludibili della sua genesi e del suo divenire.
Quella di Roma è, per Vico, storia sociale, la cui
ragione
non appartiene
alla matematica cartesiana, ma è la
ratio legis,
«conformatio legis ad fac
tum», attiva nell’esperienza degli uomini che hanno conquistato con il
diritto il senso della vita in comune. Per l’intelligenza di tutto ciò non ba
sta più la solenne ma schematica distinzione, nel
De uno,
tra giurispru
denza
rigida
e
benigna,
perché a essere privilegiata è la comprensione del
processo storico in quanto concreto divenire «dalla custodia del diritto
pubblico, da parte dei patrizi, e dal desiderio di giungere all’equità su
questo da parte della plebe»20. Ma l’originalità della ricostruzione di Vi
co sta nella scelta di un punto di vista che interpreta l’antico
ius
romano
in termini di legislazione agraria, le cui fonti vanno opportunamente in
dividuate - com’è stato mostrato assai bene da Giuseppe Giarrizzo - nel
l’ambiente meridionale ed europeo del Sei-Settecento. Il passaggio dal-
Xarcanum
alle leggi scritte resta storicamente contrassegnato dalle con
flittuali modificazioni delle forme di proprietà agraria e dai nuovi rap
porti tra città e campagna. A illuminarli è già la complessa costruzione
del
De constantia
, quando identifica i processi di delimitazione e divi
sione dei campi con le sole forme di
dominio bonitario,
quale concessio
ne dell’uso dei fondi agrari ai
famuli,
tenuti a prestazioni in cambio di
benefici, ma senza i titoli giuridici di proprietà e la protezione dai possi
bili soprusi dei nobili:
Fu così estesa ai plebei una legge mediante la quale essi potevano colti
vare a loro vantaggio i campi che tuttavia erano in base all’ottimo diritto, al
diritto fortissimo, di proprietà dei patrizi. In tal modo - per usare una frase
delle XII Tavole - la proprietà o autorità sui campi rimaneva ai patrizi: ma
con un diritto di asservimento nei confronti dei plebei che non riguardava
19 Id.,
De constantia iurisprudentis,
in Id.,
Opere giuridiche,
a cura di P. Cristofolini, Fi
renze, 1974, parte II, cap. XX I, p. 596, ma cfr.
ibid.,
cap. XXXV II, p. 716; d ’ora in poi
De
const.
20 Id.,
De universi iuris unoprincipio etfine uno,
in Id.,
Operegiuridiche,
cit., cap. LX XX I,
p. 99 c capp. CLXXV II, CLXXXV II-CLXXXV III, pp. 259, 283-288; d ’ora in poi
De uno-,
De const.,
cap. XXXIV , p. 702. Quest’ultima pagina è al centro della fine ricostruzione di A.
AGNELLI,
Motivi e sviluppi della costanza del diritto in GB. Vico,
in «Rivista Internazionale di
Filosofìa del Diritto» XXX III (1956) 5, in partic. pp. 639-640.