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GIOVANNI ANTONIO LOCANTO
losofia intesa come studio del vero e quindi come manifestazione della
storia ideale eterna, e la filologia avvertita come scienza del certo e quin­
di come espressione delle particolari esperienze storiche dei singoli po­
poli19. La superiorità gnoseologica della filosofia sulla filologia si fonda,
infatti, sulla capacità della prima di cogliere l’eterna verità della «storia
ideale eterna». La storia del popolo ebraico, non essendo oggetto del­
l’umano arbitrio, bensì risultato diretto dell’azione divina, è caratteriz­
zata in qualche modo dalla stessa verità propria della filosofia:
La storia sagra è più antica di tutte le più antiche profane che ci sono per­
venute, perché narra tanto spiegatamente e per lungo tratto di più di otto­
cento anni lo stato di natura sotto de’ patriarchi, o sia lo stato delle famiglie,
sopra le quali tutti i politici convengono che poi sursero i popoli e le città;
del quale stato la storia profana ce ne ha o nulla o poco e assai confusamen­
te narrato.
Questa Degnità pruova la verità della storia sagra contro la boria delle
nazioni che sopra ci ha detto Diodoro sicolo, perocché gli ebrei han con­
servato tanto spiegatamente le loro memorie fin dal principio del mondo20.
L’innegabile primato ontologico della storia sacra nei confronti di quel­
la profana, così come sostenuto da Vico, si inserisce entro quell’antica tra­
dizione che partendo dalla
Biblioteca
di Diodoro Siculo e dal
Contra Apio­
nem
di Giuseppe Ebreo trova un’adeguata sistemazione nel pensiero del-
l’Agostino del
De civitate Dei,
diventando un vero e proprio
topos
lettera-
rità e verità della storia sacra contro ogni tentativo di contaminazione», Rossi condanna la teo­
ria di Reale
(Vico e il problema della storia ebraica in una recente interpretazione
, in «La Cul­
tura» VII, 1970, pp. 81-107, in partic. p. 93) di un «compiuto parallelismo» tra due differen­
ti corsi storici (quello ebraico e quello egiziano) che «non si pongono in rapporto di recipro­
ca esclusione», ma sono «storicamente e logicamente compossibili». Infatti, Rossi ritiene che
«non è affatto lecito usare questa espressione e parlare di ‘parallelismo’ a proposito di storie
di lunghezza diversa per una delle quali si ha una narrazione coerente di fatti reali, mentre per
l’altra si hanno favole e tradizioni confuse frutto della boria delle nazioni». Del resto, analiz­
zando il contributo di Mario Sina
(Vico e Le Clerc tra filosofia e filologia
, Napoli, 1961) sul
controverso problema, Rossi osserva che «è vero, come Sina ha sottolineato, che Vico ‘mette
in primo piano la storia delle nazioni e dei loro progressi, la storia di un’umanità che per gra­
di passa dallo stato ferino al civile consorzio’, ma non è affatto vero che Vico sarebbe di con­
seguenza il sostenitore di ‘una cronologia della storia umana di ispirazione laica’» (Rossi,
op.
cit.,
pp. 209-211).
19«[...] qui la filosofia si pone ad esaminare la filologia (o sia la dottrina di tutte le cose
le quali dipendono dall’umano arbitrio, come sono tutte le storie delle lingue, de’ costumi e
de’ fatti così della pace come della guerra de’ popoli), la quale, per la di lei deplorata oscu-
rezza delle cagioni e quasi infinita varietà degli effetti, ha ella avuto quasi un orrore di ragio­
narne; e la riduce in forma di scienza, col discovrirvi il disegno di una storia ideal eterna, so­
pra la quale corrono in tempo le storie di tutte le nazioni»
(Sn44,
§ 7, p. 419).
20 Ivi, §§ 165-166, pp. 504-505.
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