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RECENSIONI
Un approfondimento di questi temi e delle tracce di varie, consistenti ripre
se di Machiavelli e della ragion di Stato dovrebbe utilmente ritornare anche sul
l’accusa (rivolta per tradizione più al machiavellismo che a Machiavelli) di esse
re diretto o segreto ispiratore della
tirannide.
Sondaggi significativi sulla figura
del tiranno «
anti-eroe
per antonomasia» (p. 337) offre Riccardo Caporali
(Vico
e la tirannide,
pp. 337-351) in una sintetica ma puntuale ricognizione della com
plessiva riflessione vichiana fino alle varie edizioni della
Scienza nuova.
Se quel
la del 1725 ancora si concilia con la «politica» del
De uno,
declinata in un lin
guaggio morale coerente con il «sistema metafisico» dell’opera (p. 344), nono
stante la radicale rottura con l’idea di
virtù
(p. 345), la vera svolta si ha nelle ul
time due edizioni dell’opera. In quella del 1730 la negativa rappresentazione del
l’antieroe decade (p. 347) anche alla luce della recepita e subito trasformata sin
tesi liviana di
regno, popolo
e
libertà
nella storia di Roma, ripensata profonda
mente al punto di rivalutare il ruolo di Bruto e il senso dell
'auctoritas
infranta
(ibid.).
In quanto «variante interna» all’ordine eroico-aristocratico la tirannide
è destinata alla sconfitta dal moderno primato della
multitudo
che, soprattutto
nella
Scienza nuova
del 1744, sancisce la crisi del puro eroismo e diventa inevi
tabile apertura alla pura «libertà popolare» (pp. 348-349). Lo attestano la «Con-
chiusione dell’Opera», la «Degnità» XCV, il capitolo III della sezione XIII del
libro IV, in cui il carattere negativo dell’autocrazia non definisce una forma di
potere superiore, ma la caduta di ogni potere (p. 349) e, quindi, la fine del ti
ranno, dell’individuo singolare, «monastico» «che si
pre-tende
solo, che vorreb
be darsi da sé» (p. 351). Non più alterazione di un ordine metafisicamente buo
no che richiama a sé la politica, la tirannide diventa una «categoria politica,
po
litologica»
(p. 349), documentando la costitutiva dimensione comunitaria del
l’essere umano.
E, questo, un esito della riflessione vichiana sull’eroico che può contribuire
a spiegare alcune delle ragioni e dei momenti della sua fortuna europea tra Ot
tocento e Novecento. Risponde a tale sollecitazione il contributo di Maria Don
zelli
(Dalla storia degli eroi alla storia eroica. Un conflitto tra Vico eMichelet,
pp.
381-393) che parte dall’esame del
Demente heroica
e del «principio eroico» del
l’autentica sapienza (p. 382). Questa è conquista del
sublime,
legittimata da
un’attitudine della
mens
umana a riconoscere la sua origine divina e, insieme, la
costitutiva tensione all’azione, alla forza del
facere,
rappresentato dal mito del
le fatiche di Ercole (pp. 384-385), paradigma della fase eroica delle nazioni in
cui si definiscono i primi princìpi regolativi della vita civile (p. 386). A questo
tema e a quello convergente dei princìpi delle grandi «formazioni storiche e so
ciali» corrispondenti alle modificazioni della mente umana, la Donzelli riferisce
- tra le letture ottocentesche di Vico - quelle di Michelet, originale per aver
compreso il dinamismo della storia vichiana alla luce di «un’ontologia del
face-
re»,
della «portata ontologica di una forza che spinge l’uomo a costruire il suo
mondo» (p. 388). Formulato anche sulla scorta di un condiviso giudizio di Alain
Pons
(Michelet, l’Italia e Vico
del 1992), tale giudizio ha il merito di riaprire il
discorso su un’interpretazione certo non esente da incomprensioni deforman-