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RECENSIONI
plice fattualità storica e l’autentico
mos geometricus
della forza produttiva del­
le facoltà intellettuali all’interno di un processo di vera e propria rifondazio­
ne unitaria del sapere. Al di là della documentata «decostruzione dell’ ‘Eroi­
co’» nella filosofia tedesca da Kant a Hegel (pp. 366,371,375,376,378) e del­
la proposta di «un
nuovo
modo di guardare a Hegel», riformulando la que­
stione - condivisa da Vico - de11’«Ex/)
runibilità della Ragione Eroica»
(p. 379),
risultano significativi, nell’interpretazione di Otto, gli sviluppi di una sua ben
nota tesi, attenta a cogliere in Vico una filosofia dei
princìpi,
impegnata a man­
tenere la relazione tra
linguaggio
e
metafisica
nella normatività del «trascen­
dentale», premessa e condizione della
scienza nuova,
della sua capacità di es­
sere linguaggio e porre «segni» (cfr. S.
O
tto
,
Sulla ricostruzione trascenden­
tale dellafilosofia di Vico
[tr. it. G. Cacciatore, G. Cantillo e M. Pierri], in que­
sto «Bollettino» XI, 1981, pp. 33-57). Per tutto ciò, non vanno ricercate tan­
to le fonti autonome della meditazione vichiana sulla lingua quanto le tracce
di una riflessione che conduce all’intreccio di metodo geometrico e «forza for­
matrice» delPimmaginazione, all’incontro, cioè, con il metodo combinatorio
e simbolico-algebrico della
mathesis
di Leibniz.
Sul tema stimolanti riflessioni offre Vincenzo Vitiello (
Certumpars veri? La
«Scienza nuova» tra mathesis universalis e lingua eroica,
pp. 353-364), già impe­
gnato a dialogare con Otto in un altro contesto (cfr. S.
ÒTTO
- V.
VITIELLO,
La
memoria e il sacro
del 2001 ; cfr. l'intervento di G. Cacciatore in questo «Bollet­
tino» XXXIII, 2003, pp. 199-208), ma qui affatto disinteressato a problemi di
comparazione e/o di comprensione storiografica dell’eroico. Distante da ogni
paradigma lineare-evolutivo di riflessione storica, la sua ricerca su Vico intende
mostrarsi quale configurazione problematica di alcuni passaggi costitutivi di un
discorso radicalmente teorico. Esso parte dalla ridefinizione della complessa
coappartenenza di
vero
e
certo
(già nel
De uno),
tesa a indicare la primaria, fon­
damentale determinazione ontologica del vero e il
«rapporto necessario
che sus­
siste tra ordine e creazione, e quindi tra ordine e conoscenza» (p. 354). Vitiello
ne mostra gli esiti trattando della concezione vichiana sulla storia, più vicina
proprio a Leibniz per quella
mathematica divina
che «non si aggiunge ai fatti,
perché i fatti sono in essa, da essa, per essa
ab aeterno
ordinati, e solo perciò so­
no ‘storici’» (p. 357). E questo, a mio giudizio, il nucleo delle tesi speculative
dell’interprete che dedica particolare attenzione alla geniale intuizione vichia­
na dell’origine del linguaggio umano in cui emerge l’aporetica, ineliminabile dif­
ferenza tra la parola-gesto dell’individuo-corpo e il linguaggio universale della
ragione riflessa, la spia, cioè, della profonda tensione tra la
mathesis
universale
e la lingua eroico-geroglifica che travaglia tutto l’assetto speculativo della
Scien­
za nuova.
Essa introduce, infatti, una «scissione che impedisce il progetto vi­
chiano di riportare il certo al vero [...]. La
mathesis universalis
attribuisce un
‘valore aggiunto’ al certo, all
'auctoritas,
facendone il primo momento del vero
e della ragione. Ma in sé preso, il certo non è momento di verità. Lo è solo
nel­
la
e
per
la
mathesis
» (p. 361). L’aporia di quest’ultima, che non ha linguaggio
per dire e distinguere il certo dalla
pars veri
(p. 362), è - a giudizio dell’inter­
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