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RECENSIONI
alcuni casi, addirittura le edizioni di volta in volta consultate dal filosofo. L’in­
dagine prende quindi giustamente in esame i cataloghi storici dei fondi antichi
di alcune biblioteche pubbliche e private presenti in Napoli nella prima metà
del Settecento, integrando a ciò lo spoglio della rivista «Acta eruditorum» edi­
ta dai Mencke a Lipsia a partire dal 1682, unitamente al controllo di quei pochi
articoli a riguardo apparsi sulla rivista dei gesuiti «Mémoires de Trévoux», co­
me pure sulla «Bibliotèque universelle et historique» di Le Clerc. A tale pro­
posito Bassi individua nella Biblioteca aperta al pubblico nel 1691 dalla fami­
glia Brancaccio presso S. Angelo a Nilo - oggi fondo «Brancacciano» della Bi­
blioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» di Napoli - e in quella privata del­
l’amico Giuseppe Vailetta - oggi fondo «Vallettiano» della Biblioteca Orato-
riana dei Girolamini - i due contesti sicuramente frequentati da Vico per la con­
sultazione dei repertori bibliografici sul mito.
«È
in parte fuorviarne - precisa
tuttavia l’A. - [ ...] presumere di poter recuperare ora in questi fondi i libri che
vi trovava Vico nella prima metà del Settecento, poiché il fondo della Bibliote­
ca Brancacciana ebbe acquisizioni successive alla morte di Vico (1744) e subì
scambi di esemplari, vendita di copie doppie, oltre alle sempre possibili perdi­
te, mentre cercando nel fondo Vallettiano [...] si rischia di ritrovare materiale
ottocentesco [...] estraneo alla Biblioteca di Valletta» (p. 12).
È per questo che, al fine di ricostruire la traccia delle fonti alle quali il filo­
sofo poteva avere indiscutibile accesso, Bassi fa giustamente proprio oggetto di
studio non tanto la composizione odierna dei due fondi librari, quanto i catalo­
ghi storici di questi ultimi. Inoltre, visto che un repertorio bibliografico sul mi­
to così ricostruito avrebbe rischiato di apparire notevolmente depauperato ri­
spetto alla reale valenza e vivacità della circolazione libraria nella Napoli del Set­
tecento, l’A. ha scelto di consultare pure i cataloghi delle biblioteche della Cer­
tosa di S. Martino, del Collegio Massimo dei Gesuiti di Napoli, del convento di
S. Domenico Maggiore, oltre che quello della collezione privata di Ferdinando
Vincenzo Spinelli, Principe di Tarsia, prendendo tuttavia in esame esclusiva-
mente le opere stampate entro il 1744, visto che tali repertori sono stati compi­
lati ed editi tutti dopo tale limite cronologico. Oltre a ciò, il regesto - lo si dice­
va prima - segnala puntualmente insieme ai testi individuati dalle bibliografie
settecentesche di Fabricius e di Struve, anche quelle opere o quelle edizioni di
esse delle quali Vico può avere avuto notizia solo ed esclusivamente grazie alla
lettura delle recensioni comparse sulla rivista «Acta eruditorum», che a quei tem­
pi aveva capillare e regolare distribuzione entro l’ambiente culturale napoletano.
«E sembrato - precisa giustamente Bassi - che solo dall’intersezione di que­
ste tre direttrici di ricerca (bibliografie d’epoca, cataloghi storici, articoli e re­
censioni su periodici settecenteschi) potesse scaturire un quadro che, se pur
sempre incompleto, comprendesse, in una prospettiva in scala ma non troppo
infedele, la complessità di connotazioni di cui il mito era carico tra Seicento e
Settecento» (pp. 23-24).
In ogni modo, ciò che appare di particolare interesse in un’indagine così con­
cepita è la metodologia - sempre rigorosa e costante - che ricorre, in modo com-
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