RECENSIONI
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quattro-cinquecentesca. Mantiene piuttosto un legame con l’aristotelica
mìme-
sis
tragica, e ne riprende ed allarga, in linea con le elaborazioni barocche, il ca
rattere inventivo; attraverso l’individuazione di somiglianze, 1’ ‘assembrare’ele
menti diversi apparentemente lontani, l’imitazione - carattere spontaneo e ori
ginario dell’umanità - viene a coincidere con la creazione ingegnosa.
Il sapere poetico non è però relegabile, nella prospettiva filogenetica della
Scienza nuova,
alle origini, prima cioè dello sviluppo della logica. Nonostante le
difficoltà di una ricomposizione sincronica di momenti diacronicamente suc
cessui, è evidente nell’opera vichiana l’intento forte di non lasciare indietro, al
l’infanzia dell’umanità, un «fare» della mente fantastico-inventivo, creativo.
Non si tratta però di ripristinare, di richiamare in tempi «scorti e intelligenti»,
che hanno guadagnato la «riflessione con mente pura», il sapere immaginifico
delle origini. L’A. intravede «un’altra opportunità, che si differenzia tanto dal
la mera opzione poetico-sensibile, quanto dalla pura opzione logico-razionale,
e sembra prendere corpo anche storicamente nella figura del ‘ricorso’, e consi
stere cioè nella possibilità di far trapassare il passato fantastico e poetico degli
antichi [...], di favorire quindi il ricorso dell’antico nel moderno, di lasciare che
il forte sentire mitopoetico degli antichi faccia ritorno nella fiacca riflessività tut
ta mente e spirito dei moderni sotto forma di un corposo riflettere» (cap. Ili,
«Poesia o Logica?», p. 60).
Il IV capitolo («Il corpo e le sue possibilità», pp. 63-82) fa solo un passo in
dietro per approssimarsi al fondamento di quel pensare poetico, ossia al corpo
che, al di là di ogni lettura riduttivamente materialistica, si fa in Vico strumento
conoscitivo ineludibile. E dal corpo che nascono la prima esperienza della realtà
e le prime forme di linguaggio; le passioni fondatrici di civiltà - paura, pudore -
sono corporee come eminentemente legati al corpo, alla cura ed «educazione»
del corpo, sono i primi riti e le prime cerimonie religiose. La
Scienza nuova
offre
così, anche alla riflessione a noi contemporanea, una ricca e complessa fenome
nologia della corporeità, che non può che coniugarsi con la nozione di «origi
ne», con un pensiero geneticamente orientato. A questo proposito l’A. raccoglie
lo spunto offerto da un recente libro di Robert Miner, critico americano, costruito
sull’idea di un Vico «genealogista della modernità»; ne denuncia però la parzia
lità interpretativa, analoga in fondo a quella crociana, laddove il concetto di ge
nealogia che emerge dalle opere vichiane viene piegato su quello di Nietzsche.
Evidentemente, l’elemento religioso e provvidenziale spinge la
Scienza nuova
vi
chiana troppo lontano dalla prospettiva genealogica di Nietzsche. Ciò non to
glie, tuttavia, che si possa correggere l’ipotesi comunque suggestiva di Miner, ri
conoscendo la «progressività» del Vico non in precorrimenti o anticipazioni ma
nella specificità e nella ricchezza del suo sguardo sulle origini.
Il VI capitolo («Tempo della vita, tempo del racconto», pp. 95-117) si spo
sta ad esaminare i caratteri peculiari dell’autobiografia vichiana, il rapporto che
vi si intreccia tra tempo e racconto. Anche qui è possibile individuare un’atteg
giamento, figlio naturalmente di posizioni teoriche, antitetico rispetto a quello
di Cartesio. Nel
Discours de la Méthode,
che può certamente essere letto come