RECENSIONI
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ci e tematici eccezionalmente ampi, quali sono appunto quelli percorsi dalla pro
duzione scientifica dello studioso cui sono offerti che, come mostra la biblio
grafia di oltre duecento titoli che completa il volume, abbracciano la storia po
litica, culturale e socio-religiosa dell’Italia e dell’Europa fra la Controriforma e
la Rivoluzione francese. Pertanto nelle pagine che seguono, in considerazione
dell’impostazione di questo «Bollettino», mi soffermerò prevalentemente sui te
sti in vario modo connessi agli interessi per il Settecento che costituiscono uno
dei poli principali della ricerca di Rosa - non a caso al «Settecento religioso» è
dedicata un’intera sezione della raccolta - limitandomi a menzionare i restanti
e non meno significativi contributi.
La bibliografia di Mario Rosa si apre nel 1956 con l’ancora fondamentale
studio sugli
Atteggiamenti culturali e religiosi di Giovanni Lami nelle «Novelle
Letterarie»,
apparso in quell’anno negli «Annali della Scuola Normale Supe
riore di Pisa». Sulla figura dell’erudito toscano si soffermano i due saggi offer
ti da Jean Boutier e da Anna Maria Puh Quaglia. Il primo, che si inserisce im
plicitamente nell’ambito di una ricerca collettiva sulle reti accademiche in Ita
lia che recentemente ha visto le stampe
(Naples, Rome, Florence: une histoire
comparée des milieux intellectuels italiens. XVIIe-XVIlIe siècle,
a cura di J. Bou
tier, B. Marin e A. Romano, Roma, 2006), ricostruisce ed analizza le affiliazioni
accademiche di Lami con l’obiettivo di individuarne le logiche politiche: a pro
porle sono spesso di accademie di piccoli centri o di nuova istituzione, deside
rose di accrescere il proprio prestigio mediante l’inserimento fra i propri mem
bri di un personaggio di primo piano della Repubblica delle lettere.
Pult Quaglia focalizza invece l’attenzione sulle «Novelle letterarie» e, ri
prendendo le annotazioni di Rosa a proposito dell’ampiezza degli interessi cul
turali di Lami e della sua capacità di intercettare i temi più attuali del dibattito
europeo, analizza in particolare le segnalazioni di opere legate allo sviluppo del
la cultura agronomica. L’attenzione di Lami verso «pubblicazioni che non col
tivavano semplicemente il genere letterario georgico, ma che, in qualche modo,
testimoniavano un interesse verso un diverso approccio alla conduzione della
terra» (p. 564), attestato fin dagli anni Quaranta, si intensifica, nell’ambito di
una generale adesione ai programmi muratoriani e genovesiani, dopo la fonda
zione dell’Accademia dei Georgofili (1753), e finisce per costituire un elemen
to di continuità con le successive vicende del giornale, affidato, dopo la morte
di Lami (1770), a Giuseppe Pelli e poi a Marco Lastri.
Assai diverso da quello della Firenze di Lami è il contesto culturale e so
ciale in cui si svolge, una generazione più tardi, il percorso intellettuale, rico
struito da Claudio Donati, di un altro erudito, Sigismondo Antonio Manci, sto
rico di quella stessa chiesa trentina che si trovò a governare come decano ca
pitolare all’arrivo di Napoleone senza che ciò gli sia valso presso la corte di
Vienna il riconoscimento delle sue aspirazioni alla cattedra vescovile, «uomo
profondamente legato ai moduli dell’antico regime» (p. 459) nonché al pro
prio radicamento locale ma al tempo stesso «letterato tutt’altro che incolto o
attardato» (p. 467).