RECENSIONI
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‘tra le righe’. Il testo vichiano, elaborato sulla base delle capacità retoriche che
consentono di mostrare e dissimulare al tempo stesso, avrebbe dunque qualco­
sa che è insieme «manifesto» ed «esoterico» (p. 102). Il ricorso all’esoterico sa­
rebbe necessario per eludere i severi controlli dei censori e celerebbe un Vico
bifronte, che nasconde Machiavelli e Hobbes dietro Tacito e Platone, più ateo
di Spinoza e pertanto in pubblico suo avversario. Come negare ad ogni scrittu­
ra un duplice piano di esposizione, il tentativo di mediazione tra quelli che Kant
ha definito l’‘uso privato’e lnuso pubblico’della ragione, con quest’ultimo che
prende corpo nel rapporto ‘intimo’tra sé e il mondo dell’universalità? La criti­
ca di Navet alla tesi di Vaughan ha di mira di conseguenza non tanto il para­
digma straussiano, l’«arte di leggere» (p. 108) capace di individuare due livelli
di scrittura, costretti a duplicarsi dalla ‘persecuzione’, la tirannia del pregiudi­
zio, che limita il chiaro e libero prodursi e comunicarsi delle idee, paradigma
che potrebbe essere applicato produttivamente a Vico, quanto invece l’infedeltà
di Vaughan al maestro, quando cessa di essere un lettore ed un interprete e in­
troduce nell’opera punti di vista esterni.
Non esiste una vera e documentata influenza di Vico sulla psicoanalisi. Ri­
correndo però ad un metodo comparativo è possibile mostrare alcune affinità
tra il sistema freudiano, per il tramite della lettura di Lacan, e il pensiero vi­
chiano. Il confronto deve mantenersi a livello teorico-ipotetico, individuando
quei punti di convergenza che fanno dei progetti filosofici di Vico, Freud e La­
can dei programmi epistemologici. Come non riconoscere a questi autori la con­
cezione della verità
filia temporis
, da cercare e non da dimostrare, o il diniego
dell’esaustività del discorso logico-razionale? I motivi fondamentali di questa
relazione comparativa sono individuati da Saint-Girons nell’importanza accor­
data alla
aisthesis,
nella ricerca dell’universale nel più singolare, nel legame tra
finzione e verità. Interpretazioni esplicite ad accertare questo legame, si è det­
to, mancano. Esistono spunti, dai quali l’A. parte per svolgere il suo discorso,
come ad esempio un’intuizione di Ernesto Grassi che, nel suo
Vico e l’umane­
simo
(Milano, 1992), si chiedeva: «se l’atto del genio e dell’immaginazione, con
le sue metafore, analogie, miti, non ha carattere razionale, appartiene allora alla
sfera dell’inconscio?» (cit. a p. 265). Può l’inconscio freudiano giocare un ruolo
di primo piano per la comprensione dell’ingegno vichiano? Innanzitutto, ciò che
in Freud sono «dinamiche individuali» in Vico sono «produzioni collettive» (p.
263), gli universali fantastici. Non si può inoltre - sostiene Saint-Girons - inter­
pretare l’inconscio come mera assenza di razionalità, come ha fatto Grassi. Può
soccorrere su questo punto la formulazione di Lacan, per il quale l’inconscio è
un linguaggio, ha dunque una ‘logica’esprimente un sapere immobile in grado
di essere ripercorso mediante le sue sporadiche manifestazioni. È «il discorso
dell’Altro» (p. 267) a parlare nella lingua dell’inconscio e il suo statuto è per­
tanto più etico che ontico. A questo punto, più che i piani di tangenza si mo­
strano gli stridenti contrasti: Vico si occupa di primitivi, Freud e Lacan di ma­
lati,
\'ingenium
è attività creatrice, l’inconscio può manifestarsi solo attraverso
falle nel discorso che lasciano emergere l’alterità assoluta più che una proprietà
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