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RECENSIONI
comune agli umani. Se mai esiste un punto di contatto tra l’universale fantasti­
co vichiano e l’inconscio, esso consiste in una «arte critica» (p. 268) che per­
mette all’interprete di cogliere ciò che sfugge ai produttori delle formazioni in­
consce o ingegnose.
Su un versante complementare a quello sinora delineato si situano i contri­
buti che descrivono da un lato il contesto storico-culturale che guidò l’elabora­
zione della
Scienza nuova
e dall’altro l’accoglimento di Vico da parte del Sette­
cento pre- e post-rivoluzionario e del Risorgimento, periodi nei quali furono
portate alla luce le potenzialità politiche del pensiero del napoletano. Gli studi
esplicativi del primo punto hanno l’obiettivo di superare un altro
topos
che ha
per lungo tempo diffuso di Vico l’immagine di un genio appartato e isolato, per
dimostrare al contrario le radici della sua opera nella feconda cultura napoleta­
na dell’epoca e, per il tramite di quest’ultima, con la migliore riflessione euro­
pea, che, tra l’altro, era ampiamente dibattuta a Napoli. Maria Donzelli
(«Sa­
pientia», «sagesse» et «Science» dans laphilosophie de Vico,
pp. 111-124) delinea
la relazione tra l’ideale vichiano di ‘sapienza’ e il precedente e coevo dibattito,
soprattutto della Francia del Cinque-Seicento sulla
sagesse,
dal quale dibattito
emergeva un ideale di intellettuale che rinuncia al mondo e si rifugia nella pro­
pria individualità. Un ideale già coltivato nel mondo antico ma modernamente
caratterizzato, rispetto ad esempio all’agostiniano ‘ritorno nel sé’, metodo in­
trospettivo dell’incontro con il divino, per la centralità offerta all’individuo che
diveniva principio etico assoluto. Non privo di uno scetticismo fondamentale,
questo saggio idealizzato si appella alla
sapientia
come pratica culturale con­
trapposta alla sistematicità. Disincantato dall’illusione del sapere assoluto, egli
rinuncia altresì alla funzione pedagogica del dotto, ad ogni programmatica po­
litica e si chiude in una
prudentia
tutta privata. La cultura napoletana del Sei-
Settecento si è criticamente confrontata con la discussione dei francesi, allon­
tanandosi da loro però sul punto decisivo dell’impegno civile: si pensi, ad esem­
pio, all’Accademia di Medinacoeli. Vico non fu estraneo al dibattito francese,
recuperando dai suoi protagonisti i modi della scrittura, il ricorso alle confes­
sioni, il racconto in primo persona, una certa attitudine al frammento. La rice­
zione napoletana della via francese al «‘disincanto’ del mondo» (p. 122) si rea­
lizzò in una volontà di «‘decostruzione’ del sapere tradizionale» (p. 114) che
prese corpo nell’istanza di investigare criticamente il sapere della tradizione, in
primo luogo quello religioso. Vico non si spinse al rifiuto radicale del fenome­
no religioso, ma nemmeno rinnegò l’eredità precristiana, la ben nota comple­
mentarità tra il sapiente e la città, conferendo al suo progetto scientifico anche
finalità pedagogiche e politiche. Avversario dei filosofi «monastici esolitari» d’o-
gni tempo, egli ha saputo modulare la sua distanza dalla ‘saggezza moderna’, ri­
chiamando il più antico principio dell’impegno mondano del saggio. Annota­
zioni importanti sulla questione della non estraneità di Vico alla cultura del suo
tempo sono contenute nei saggi di André Tosel
(La «Science nouvelle
»
de Vico
face à la «mathesis universalis
», pp. 215-229) e Bruno Pinchard
(Science ou al­
légorie? Le débat entre Bacon et Vico,
pp. 231-243), i quali si soffermano in par-
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