RECENSIONI
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in grado di discernere similitudini e conformità, e che impedisce ai criteri sa
pienziali della filologia di prevalere sull’istanza epistemica della filosofia. Tant’è
che in apertura al testo il pensatore sostiene di dover «ragionare della sapienza
poetica», chiede cioè il giudizio della ragione, che supera e compendia il giudi
zio senza riflessione del senso comune. Così la nozione astratta di «genere» è
sostituita da un «pensiero creatore» che permette di raccogliere i particolari in
un «contesto di somiglianza» (p. 154). Dedicato ai rischi dello scientismo se
gnalati da Vico è anche l’intervento di Jean-Paul Larthomas
(La
Scienza nuova
commephilosophie du droit)
che, richiamando il diritto naturale come
jus latens,
sostiene che la
Scienza nuova
sia una «topica del senso comune» (p. 177), ma
del «senso comune giuridico» (p. 176) che, se in quanto senso, è
primafacie
roz
zo ed interessato, in seconda istanza è 0 criterio di misura che evita il «giuridi-
smo» (p. 173), quella boria dei giuristi e dei ‘saggi’ della legislazione in genere.
Nell’ambito della cultura napoletana Sette-Ottocentesca e nel quadro di un
«primo storicismo italiano», evocato da Cacciatore nel suo intervento, una po
sizione centrale è occupata dal saggio di Vincenzo Cuoco su Vico, emblema di
quella «originale discussione filosofica sulla storia» (p. 47) dell’Italia del primo
Ottocento. Nello scritto cuochiano emerge il «carattere eminentemente filoso
fico» {p. 48) della
Scienza nuova,
strumento indispensabile di comparazione e
sintesi tra l’esperienza isolata dell’erudizione e il contesto comune giuridico e
socio-poiitico. In particolare Cuoco si mostra attratto dalla «visione filosofica»
o «giustificazione filosofica della storia» (p. 49) in grado di tener unite indivi
dualità e universalità, «la critica de’ fatti» e «la scienza de’ possibili», in nome
di un disegno unitario e conchiuso dello svolgimento storico della verità in quan
to «totalità dei possibili». Nell’ambito della cultura precedente e preparatoria
della rivoluzione del ’99, Vico - ricorda Monica Riccio
(Lecture du conflit social
et influence de Vico dans quelques ouvrages au seil de la revolution napolitaine,
pp. 181-193) - era conosciuto come «il nostro Vico» ed era ampiamente utiliz
zato per l’elaborazione teorica del conflitto sociale e della dialettica tra ugua
glianza e ineguaglianza. Così ad esempio Francesco Antonio Grimaldi nelle
Ri
flessioni sopra l’ineguaglianza tra gli uomini
colloca Vico nella terza sezione del
lo scritto, dove è discussa l’ineguaglianza politica, originata dalla legge, Mario
Pagano nei
Saggipolitici
si fece promotore di una nuova filosofia della storia che
avrebbe superato quella vichiana, insistendo in particolare sulla analogia tra sto
ria della terra e storia delle nazioni, ambedue percorse da cicliche trasforma
zioni. Ancora tracce del vichismo, seppur mai chiaramente svelate, si possono
rintracciare anche nei
Pensieripolitici
di Vincenzo Russo. Una più forte conno
tazione politica è acquisita dal Vico del Risorgimento, età nella quale, sottolinea
Maurizio Martirano
(Vico à certaines étapes de la tradition italienne du Risorgi
mento,
pp. 195-214), il ricorso al pensatore si inserisce nel «tentativo di resti
tuire e ricostruire una nuova identità culturale nazionale», nella quale «la dife
sa di alcuni specifici momenti della tradizione filosofica italiana assume il sen
so di un richiamo antimetafisico teso a rinnovare profondamente la vita politi
ca e culturale nazionale» (pp. 212-213). Giuseppe Ferrari, Carlo Cattaneo eCar