RECENSIONI
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esistenzialista, il filosofo spagnolo fosse teso a superare entrambi gli orienta
menti concettuali coniugando ontologia e storicità, individuo e comunità, di cer
to tributario della tradizionale storiografia idealista ma sempre attento al valo
re della temporalità di influenza bergsoniana.
A sua volta, José M. Sevilla esamina il pensiero di tre filosofi di area ispani
ca della metà del Novecento
(La modernidadproblemàtica de Vico receptionada
en tresfilósofos hispànicos. F. Ramerò, J. Xirau, J. Ferrater,
pp. 289-314). Come
tutti gli autori esaminati, Francisco Romero, nato in Spagna ma trasferitosi gio
vanissimo in Argentina, viene collocato da Sevilla tra i «filosofi della crisi»; non
a caso questo termine si addice allo stesso Vico, sia per la sua vicenda persona
le, sia per l’uso che fa di tale categoria storica. In effetti una costante della «fi
losofia della problematicità» di Romero (nel senso, come ricorda FA., di una
contrapposizione alla concezione dogmatica della filosofia) è stato quello di leg
gere sempre in parallelo le vicende private e il pensiero dei filosofi. In partico
lare, Romero sottolinea di Vico il connotato dell’isolamento dalla cultura del
l’epoca; non a caso il saggio che scrive nel 1955 ha come titolo
Juan Bautista Vi
co, filòsofo a destiempo.
Si tratta di una visione, come dice Sevilla, segnata da un
«romanticismo ingenuo» che esalta l’attitudine eroica del filosofo napoletano.
La posizione di Romero muta solo parzialmente quando, alcuni anni dopo, in
un capitolo sulla
Storia della filosofia moderna
, sottolinea, più che l’isolamento
di Vico, il valore precorritore del suo pensiero sulle teorie della conoscenza sto
rica, in piena consonanza con la lezione crociana. Analogamente immerso nella
crisi dei valori e della cultura del XX secolo, Joaqum Xirau (1895-1946) mette
in evidenza di Vico gli aspetti platonici e cristiani, esaltandone soprattutto la va
lenza spirituale e immaginativa in contrapposizione a un cartesianesimo inteso
come alfiere di una ragione astratta; in maniera conforme, non perde d’occhio
le profonde differenze tra il giusnaturalismo - con la sua visione «già data» e
astratta dell’umanità -, e la posizione del filosofo napoletano che nega questi
presupposti alla luce di «una identità della natura umana indipendente dalla ra
gione» (p. 299) e segnata invece da una radicale storicità. Il terzo rappresentan
te della «filosofia della crisi» è José Ferrater Mora (1912-1991), autore cono
sciuto in Italia per il volume del 1945
Cuatro visiones de la historia universal
[Quattro visioni della storia universale
, tr. it. Lecce, 1981] e già da tempo stu
diato da Sevilla, il quale ne sottolinea qui alcuni elementi importanti della lettu
ra vichiana, improntata ad una «fisica della storia» intesa come «individuazione
di certe leggi mediante cui si realizzi la ‘natura comune delle nazioni’» (p. 306).
La storia secondo Ferrater Mora è imperniata sulla dialettica ordine-disordine,
dove il disordine (così come il concetto di ‘decadenza’) «costituisce un
concetto
limite
in quanto sta ad indicare una
realtà limite» (ibid.).
E soprattutto, Fautore
delle
Cuatro visiones
sottolinea il carattere metaforico della storia ideale eterna
vichiana che si riferisce a una trasformazione interna della natura umana sot
traendola «alla mera riduzione intellettualista del concetto» (p. 308).
Con un contributo su
Nuevos aportes sobre la reception de Vico en el s. XIX
espanol
(pp. 315-324), José Sevilla ritorna a indagare sulla recezione di Vico in