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AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
presenta come un’opera divulgativa sul pen­
siero di Vico, individuandone il tratto più im­
portante nella concezione dei miti come for­
me simboliche della ragione pratica alla sca­
turigine delle istituzioni umane. Particolare
attenzione è rivolta, per un verso, al radica­
mento di Vico nella tradizione umanistica e
per altro verso alle affinità tra il suo pensiero
e alcuni grandi motivi della riflessione filoso­
fica contemporanea, specialmente di area
francese. Lo stile molto brillante, saturo di ri­
chiami colti, dell’esposizione di Chabot resti­
tuisce un notevole effetto di fascinazione, che
certo mette in conto anche il rischio di qual­
che semplificazione. «Vico fu il padre fonda­
tore della filosofia romantica e, più ampia­
mente, di ogni cultura romantica, quella che
nel corso della storia moderna, a partire di­
ciamo dal Rinascimento (primo avatar del Ro­
manticismo), si alterna alla cultura positivi­
stica» (p. 11); così «questo preteso retrogra­
do, sempre un po’ vagamente sospettato di
essere reazionario, si rivela essere un precur­
sore» (p. 10); egli «è ancor oggi di
attualità
[...]. La sua filosofia dell’azione, della libera
attività creatrice dell’umanità [...], che apre
all’infinito l’indeterminato del pensiero, resta
una sfida vivente a tutti i sistemi più o meno
totalitari che pretendono di circoscriverlo lo­
gicamente [... ]. Il romanticismo storico di Vi­
co è un esistenzialismo» (p. 17). In effetti, pa­
gine in cui a Vico si intrecciano non solo se­
ducenti ricostruzioni di dialoghi platonici o
di tesi di Cassirer, ma di continuo le voci di
Nietzsche e Freud, Valéry e Merlau-Ponty,
Lévinas e Rabelais, Molière e Stendhal, e
Kierkegaard, La Fontaine, Rimbaud, Pascal,
Lacan, Victor Hugo, Péguy, Ricoeur, Mal­
larmé, per fare soltanto qualcuno dei nomi
che ricorrono, possono generare qualche di­
sorientamento in chi è abituato alla lettura di
opere più analitiche e meno appassionate del­
le analogie («Kant, la cui
Critica del giudizio
non manca d’evocare implicitamente Vi­
co». .. - p. 90). Ma non è a questo lettore, per
quanto pure egli possa sentirsi utilmente in­
citato alla verifica, che si rivolge la prosa ri­
sonante - a tratti, quasi mimeticamente vi­
chiana - di Chabot. La ricca illustrazione è
piuttosto qui funzionale a rendere intuitiva a
chiunque quella che l’A. intende come l’am­
bizione teorica di fondo dell’opera di Vico:
cogliere come «ragionevole» la «ragione del
mito» (pp. 5 e 233), in quanto «la
Scienza nuo­
va
è una storia della genesi della ragione nel
tempo; prima nel tempo mitico, poi nel tem­
po storico, senza soluzione di continuità tra i
due» (p. 233). Il percorso muove quindi dal­
la interpretazione - o «ermeneutica», dice
Chabot - del mito, alla quale appartiene «non
provare nulla», non cioè il dimostrare ma
bensì il mediare «ciò che il mito ha voluto di­
re o piuttosto ha voluto fare» secondo una lo­
gica «dell’analogia» che aderisce alla «fun­
zione simbolica» (p. 20) dello spirito umano
ordinatore del mondo. In tal modo Vico «ha
lanciato l’umanità moderna e la storia che es­
sa fa [...] in un’odissea dello spirito in cerca
non tanto della sua essenza quanto della sua
azione», perché - al di qua di ogni «fenome­
nologia
logica
dello spirito» - «l’interpreta­
zione del mondo [...1 è un’arte di compren­
dere creando non soltanto l’oggetto ma anche
e soprattutto il soggetto della comprensione»
(p. 21). Nel seguire così l’«immaginazione
creatrice», l’interpretazione coglie la potenza
della significazione poetica come un farsi del­
la ragione anzitutto nel «senso comune dei
popoli, sorta di generazione spontanea uni­
versale» (p. 91), che «la filologia, essa stessa
poetica nella sua ermeneutica del senso refe­
renziale della poesia» (p. 150), mette allo sco­
perto restituendo alla «conoscenza di sé» del­
l’uomo la sua «ragione poetica» o, come Cha­
bot efficacemente dice, «l’intelligenza dei
sensi» (p. 196). La ragionevolezza della «ra­
gione mitologica» (p. 235) è allora anzitutto
il tratto sociale, politico, di una «ragione del
senso comune [...] eminentemente democra­
tica», perché fatta dagli uomini, insieme, co­
me esercizio di libertà. Il libro si chiude, co­
me si era aperto, nel segno del Michelet in­
terprete di Vico.
[L. P .C.]
17.
COSTA
Gustavo, recensione a R.
C.
MlNER,
Vico: Genealogist ofmodernity
(No-
tre Dame, IN, University of Notre Dame P.,
2002), in «Reinaissance Quarterly» LVI
(2003) 4, pp. 1168-1169.
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