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AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
in
Natura e storia
, a cura di L. Bianchi, Na­
poli, Liguori, 2005, pp.199-228.
La «sfida di Cartesio» di cui qui si parla è
quella mossa dal filosofo francese sul terreno
della teoria del linguaggio e rappresentata dal­
la cesura impressa ad una lunga tradizione an­
cora fortemente vitale nel pensiero moderno.
Tradizione che, pur se diversamente declinata,
può essere definita, generalmente e generica­
mente, «continuista» - traccia cioè una linea
continua
tra uomo e animale - che legge il lin­
guaggio come caratteristica «naturale» di tut­
te le specie animali fino all’uomo. L’attribu­
zione esclusiva invece, da parte di Cartesio, del
linguaggio all’uomo comporta ed è insieme il
sintomo di importanti spostamenti teorici; il
linguaggio non è più considerato tanto come
strumento espressivo, ma piuttosto schietta­
mente cognitivo, e sottratto al nesso con la cor­
poreità. Ciò cheera allora ingioco era una nuo­
va definizione dell’umano.
L’A. non prende in esame tanto le posi­
zioni di coloro che in vario modo si oppose­
ro a Cartesio ma sembravano, continuando
ad affermare forme di continuismo, «manca­
re l’obiettivo» (p. 205); esamina piuttosto
due autori - Vico ed Herder - che, pur ri­
fiutando importanti presupposti della teoria
cartesiana, il dualismo innanzitutto, ne rac­
colsero in qualche modo la «sfida».
L’anticartesianesimo vichiano passa cer­
to attraverso un privilegiamento della corpo­
reità, ma non nel senso estremizzato e sem­
plificato voluto da alcune interpretazioni a
noi contemporanee. Il nesso corpo-linguag­
gio è infatti senza dubbio, contro Cartesio,
ineludibile, ma costituisce il fondamento di
modalità cognitive propriamente umane.
Due gli argomenti fondamentali di Vico a
proposito individuati dall’A.: «da una parte
lo spostamento progressivo della concezione
della topica (e
dev'ingegno
che ne forma il
corrispettivo gnoseologico) dalla seconda al­
la prima operazione della mente umana, dal
giudizio alla percezione; dall’altra, la teoria
della metafora [...]» (p. 208). In tal modo la
corporeità stessa viene assunta a strumento e
punto di partenza delle prime forme di astra­
zione: è il linguaggio, che nasce dal corpo ed
insieme al corpo, a consentirle. E se il supe­
ramento dei confini del corpo è possibile, co­
me dei limiti di una dimensione di pura ani­
malità, è grazie ad una mente che opera «in­
gegnosamente», lontana dalla ragione carte­
siana già adulta e compiuta, non senza, sot­
tolinea l’A., un rimando all’azione di fondo
della Provvidenza.
La prospettiva di Herder è naturalmen­
te diversa, innanzitutto per l’accettazione
dell’ipotesi «continuista», all’interno della
quale, tuttavia, il
corpo
della specie umana e
il suo nesso con il linguaggio segnano uno
scarto. Se gli animali infatti posseggono cer­
tamente una forma di linguaggio espressivo,
naturale e istintivo, l’uomo ne fa piuttosto
uno strumento cognitivo, indispensabile al­
l’esplicazione della propria natura. Ciò è re­
so possibile dalla caratterizzazione herderia-
na del linguaggio come mezzo di «identifi­
cazione di oggetti mediante contrassegni»
(p. 221).
Al di là di differenze anche radicali tra i
due pensatori, i punti di convergenza sono
dunque fortemente significativi: il nesso sta­
bilito tra linguaggio e
specificità
della natura
umana, e insieme, il riferimento necessario di
quel nesso alla dimensione corporeo-sensibi-
le, anch’essa specificamente umana.
[M. R.]
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