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AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
centra lo sguardo vigile dcll’autrice di
Vitaac­
tiva
; che osserva con seducente acutezza co­
me questa «scoperta», lungi dall’essere l’esito
trionfale di un «nuovo entusiasmo per la gran­
dezza dell’uomo, per le sue imprese e le sue
sofferenze» (
ibid
.), trovi in realtà il suo punto
di origine in una
Stimmung
difettiva, ossia nel­
la «disperazione della ragione umana, che
sembrò adeguata solo se posta di fronte a og­
getti fatti dall’uomo»
(ibid.).
Sulla base di que­
ste premesse, l’A. può a ragione sottolineare
come la Arendt leggesse «nel filosofo del Set­
tecento la figura più rappresentativa del sog­
gettivismo moderno», ovvero di quella tem­
perie spirituale dominata da una «coscienza
intrisa di dubbio» che «ripiegò su se stessa, e
tutta piena di sé si apprestò a costruire una so­
lida casa» (p. 191).
Anche se l’A., da esperta conoscitrice
del pensiero vichiano, è costretta a conclu­
dere, con un accenno di benevola polemica
nei confronti della pensatrice ebreo-tedesca,
che «Hannah Arendt non intese veramente
la originale complessità del pensiero di Vi­
co», che pure può essere «annoverato tra i
suoi autori ‘nascosti’» (p. 206), non è possi­
bile tuttavia dimenticare - e l’A. non lo fa,
ma anzi implicitamente ce lo rammenta -
che quella arendtiana è una ‘lettura’ del pen­
satore napoletano fatta
dafilosofa,
con l’oc­
chio sensibile più alle esigenze di una teore­
si calata nelle questioni cruciali del mondo
contemporaneo che a quelle della devota e
fedele ricostruzione e contestualizzazione
storico-filosofica. È appunto alla luce di
questa diversa prospettiva di indagine, che
la Arendt ritiene «oggi del tutto fuori luogo»
la «rassegnazione che induceva Vico a dedi­
carsi agli studi storici». Quello che, infatti,
in Vico si configurava come un ‘rifugiarsi’,
un ‘ritirarsi’ - positivamente connotato per
la lucida consapevolezza del limite imposto
alla scienza umana - entro l’ambito di un sa­
pere compiuto (la matematica e la storia),
perché indirizzato a ciò che l’uomo
fa,
non
può più apparire tale nell’età della tecnica,
in un’epoca cioè in cui l’uomo è riuscito a di­
ventare
homofaber
anche in quella «sfera fi­
sico-naturale» interdetta, agli occhi di Vico,
al
fare
e perciò al
conoscere
dell’uomo ma
non del dio creatore, a cui invece la natura
si mostrava nella totale trasparenza. Sicché
la Arendt - opportunamente citata qui dal-
l’A. (p. 202) -, storicizzando il criterio vi­
chiano del
verum-factum,
adeguato eviden­
temente all’uomo moderno ma non più a
quello tecnologico, può ‘vichianamente’ af­
fermare che «abbiamo cominciato ad agire»
anche «all’interno della natura come un tem­
po agivamo all’interno della storia»
(ibid.).
[R. D.]
83.
WEIDNER
Daniel, recensione a M.
E
dler
,
DerspektakuldreSprachursprung. Zur
hermeneutischen Archdologie der Sprache bei
Vico, Condillac und Rousseau
(Munchen,
Fink, 2001), in «Weimarer Beitrage» XL1X
(2003) 2, pp. 306-310.
84.
WILLIAMS
Mark,
Ancient luinguage
and Myth as a New Science: Vico’s Response
to thè Moderns,
recensione a
G. MAZZOTTA,
The New Map of thè World: The Poetic Phi-
lology ofGiambattista Vico
(Princeton, Prin­
ceton U. P., 1998) e a J. R.
GOETSCH,
Vico’s
Axioms: The Geometry of thè Human World
(New Haven, Yale U. P., 1995), in «Eigh-
teenth-Century Studies» XXXV (2002) 2,
pp. 301-304.
85.
ZEOLI
Antonietta Patrizia,
Vicos Ge-
schichtsbegriff im hermeneutischen Kontext,
Aachen, Shaker Verlag, 2003, pp. 156.
L’ A. si propone di indagare il «concetto
vichiano di storia nel contesto ermeneutico»
confrontandolo in particolare con l’erme­
neutica di Gadamer. Il testo, discusso come
tesi di dottorato all’università di Dortmund
nel 2003, solleva tuttavia delle perplessità
tanto sull’esposizione quanto sulle argomen­
tazioni. Il volume si articola in quattro capi­
toli di cui il primo si chiede «da quando si
può parlare di storia», il secondo offre un pa­
norama introduttivo delle opere vichiane in
modo compilativo, il terzo opera un con­
fronto tra il comprendere storico di Vico e il
comprendere di Gadamer, il quarto infine
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