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FABRIZIO LOMONACO
soltanto se stia attenta a sottolineare, nel solco dell’etimologia, il pro­
gressivo valore dell
'artes-facere
nello sviluppo della ragione verificante-
si nel mondo umano»94.
Vico, il Vico di Piovani, rifiutati i residui scolastici di una concezio­
ne statica della sostanza, ha definitivamente infranto la «visione moni-
stico-cosmologica» della filosofia. Il «filologismo e genetismo» del suo
metodo hanno indicato la via della storicizzazione e della «fondazione
di una scienza umana che sia consapevolezza dell’autonomia del mondo
umano dell’azione»95, secondo la grande lezione del filosofo del diritto
Giuseppe Capograssi. Del venerato maestro, «discepolo di Vico» più che
interprete, «letteralmente un
vich iano
, alimentato dalle idee di Vico»96,
Piovani tracciava un sintetico ma acuto, elegante profilo nel «Bollettino»
del 1976, in occasione del ventesimo anniversario della morte. Analiz­
zava, in particolare, il noto saggio del 1925 su
Dominio, libertà e tutela
n e l «De uno»
e il testo della conversazione su
Lattualità d i Vico
del 1945,
discutendo le principali questioni critiche proposte e il senso delle rela­
zioni teoriche interne all’opera vichiana, originalissime, innanzitutto, nel
sostegno a una lettura del
De uno
in funzione della
Scienza nuova
, ri­
pensato e valorizzato anche per quello che aspirava ad essere e non era.
Di qui l ’originale tensione teorica che l ’analisi acutamente prospettava,
diagnosticando uno «squilibrio» tra l’assunzione del platonismo tradi­
zionale e la richiamata centralità
d e ll’azione,
tra la nascita del diritto nel­
l ’azione e la teoria di un’attività consapevole della tormentata scoperta
d e ll’idea
nascosta nel reale, del nesso complicato tra
l ’idea
e la
vita
den­
tro lo stesso «rapporto di vita». Tutto ciò contribuiva a definire il com­
plesso profilo della «filosofia» capograssiana del diritto, alimentata da
un genuino vichismo per la teorizzata necessità di
unità
e
costanza
dei
principi ideali nell’esperienza umana, per la dominante esigenza di un
«sistema di permanenze» sotto le variazioni della storia. La
scienza
del
filosofo napoletano è
nuova,
perché riformula la delicata questione filo­
sofica dei rapporti tra universale e particolare. L’ordine universale non
è più quello
cosm ico
da decifrare, ma il
civ ile
che gli uomini fanno nel lo­
ro agire. Quest’ultimo, diversamente dai particolari e occasionali com­
portamenti, si traduce in una «struttura» riconoscibile nella vita delle na­
zioni, in un
un iversale
che è la loro comune
natura.
Una lettura, questa
94 Id., recensione a G. Vico,
Opere filosofiche,
cit., p. 91; Id., recensione a G. Vico,
Ope­
re giuridiche
(a cura di P. Cristofolini, Firenze, 1974), in questo «Bollettino» V (1975), in par-
tic. p. 160.
95 Id., recensione a G. Vico,
Opere filosofiche,
cit., p. 90.
96 Così V.
F
rosini
,
Giuseppe Capograssi,
Torino, 1961, p. 13 e
P. PIOVANI,
Capograssi e
Vico,
in questo «Bollettino» VI (1976), in partic. p. 194, poi in
FNV,
p. 324.
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