TRAGEDIA E FILOSOFIA IN ARISTOTELE
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anche la città, cioè la comunità particolare che si dà la legge scritta, è
«per natura», e l ’uomo è «per natura» animale politico, cioè fatto per vi­
vere nella città, e solo in questa può realizzare la sua perfezione, il suo fi­
ne, cioè la sua felicità5. Forse la soluzione di questo problema fu vista da
Aristotele, come diremo tra poco, proprio
neWAntigone.
Prima di pro­
seguire, tuttavia, segnalo che in questo stesso passo Aristotele menzio­
na, come sostenitori della legge non scritta, cioè del diritto naturale, ol­
tre al Sofocle dell’
Antigone,
anche Empedocle, il quale invocava la «leg ­
ge di tutte le cose»
(to pantòn nomimon)
per sostenere che non è giusto
uccidere l’essere animato
(to empsukhon),
e Alcidamante, secondo il qua­
le «Dio mandò fuori tutti liberi; la natura nessuno ha fatto schiavo»6. È
singolare che questa tesi di Alcidamante, sofista altrimenti del tutto sco­
nosciuto, sia riportata soltanto da Aristotele, cioè da colui che cercherà
di invalidarla almeno parzialmente, sostenendo, contro la sua stessa an­
tropologia, che almeno alcuni uomini sono per natura schiavi7.
Un’impressione analoga, cioè di consenso verso la legge non scritta,
si riporta alla lettura dell’altro passo in cui Aristotele cita il discorso di
Antigone. Qui infatti egli spiega come bisogna servirsi delle leggi quan­
do si accusa e quando si difende un imputato in un dibattimento giu­
diziario, e dichiara che, se la legge scritta è contraria al caso da trattare,
bisogna servirsi di quella comune e di ragioni più eque e più giuste, e d i­
re che è meglio non servirsi sempre delle leggi scritte, e che l ’equo
(to
epieikes)
permane sempre e non muta mai, né muta la legge comune,
poiché è seconda natura, laddove le leggi scritte mutano spesso. Indi ag­
giunge: «da qui sono state proferite le parole che si trovano
Anti­
gon e
di Sofocle. La protagonista, infatti, si difende dicendo che ha ese­
guito la sepoltura contro la legge di Creonte, ma non contro quella non
scritta», e cita di nuovo il verso 456 («infatti, non certamente ora e ieri,
ma da sempre»), attaccandovi questa volta il verso 458: «quanto a que­
ste [leggi non scritte], dunque, io non dovevo aver paura di nessun uo­
mo»8. E vero che siamo in un contesto retorico, non etico o politico, e
5 Tralascio di menzionare l’immensa letteratura esistente sul problema del diritto natura­
le in Aristotele, limitandomi a segnalare J.
RlTTER,
Naturrecht bei Aristoteles,
Stuttgart, 1961;
P.
AUBENQUE,
La loi chez Aristote,
in «Archives de Philosophie du Droit» XXV (1980), pp.
147-157; F. D.
MlLLER,
Nature, Justice and Rights in Aristotle's «Politics»,
Oxford, 1995; P.
DESTRÉE,
Aristote et la question du droit naturel,
in
Politicai Equality and Justice in Aristotle
and thè Problems o f Contemporary Society,
ed. by D. N. Koutras, Athens, 2000, pp. 136-153.
6
Rhet.
I 13, 1373 b 14-18a Ross. La citazione di Alcidamante è riportata in uno scolio,
perciò viene accolta da Ross, ma non da Kassel, nelle rispettive edizioni della
Retorica.
7 Cfr. E. BERTI,
Il pensiero politico di Aristotele,
Roma-Bari, 1997.
8
Rhet.
I 15,1375 a 25-b 2.
1...,45,46,47,48,49,50,51,52,53,54 56,57,58,59,60,61,62,63,64,65,...272