TRAGEDIA E FILOSOFIA IN ARISTOTELE
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nell’ombra, posso ascoltare come la città
(polis)
piange questa fanciulla di­
cendo che è la più immeritevole fra tutte le donne di morire così indegna­
mente per atti gloriosissimi: lei che non permise che il suo proprio fratel­
lo caduto nella strage rimanesse senza sepoltura e venisse sbranato da ca­
ni feroci o da qualche uccello. Non è degna di un premio d ’oro, costei?
Tale oscura voce corre silenziosamente
{toiad’eremnè sig’huperkhetaipha-
tis
)» 13. Qui, infatti, Emone riferisce ciò che pensa e dice la «città», sia pu­
re con voce oscura e silenziosa. Ed insiste, ribattendo all’affermazione di
Creonte che Antigone è pazza, «non così dice concordemente il popolo di
Tebe». Al che Creonte chiede: «La città dunque mi dirà ciò che io devo
ordinare? [ ...] Per un altro dunque, o per me, devo governare questa ter­
ra?»; ed Emone replica: «Non esiste la città che è di un solo uomo [ ...] .
Certo, tu regneresti bene da solo su una terra deserta»14.
Ebbene, qui Aristotele non solo approva l’artificio retorico adottato
da Emone, di far parlare al posto suo nientemeno che la città, la cui vo­
ce non può lasciare indifferente il tiranno, cioè il governante, ma indica,
a mio avviso, la soluzione del contrasto tra Antigone e Creonte, cioè tra
legge scritta e legge non scritta, perché la legge scritta è, sì, la legge del­
la città, ma, se la città stessa dà ragione ad Antigone, la città stessa rico­
nosce il valore della legge non scritta, e dunque è giusto che quest’ulti-
ma prevalga. Del resto lo stesso Aristotele, nel V libro della
Nicomachea,
presenta il «giusto per natura» e il giusto «per legge» come parti, en­
trambi, del «giusto politico», cioè del giusto della città. La fonte del d i­
ritto, dunque, è sempre la città, sia di quello positivo che di quello na­
turale, perché gli uomini che, per divinazione, riconoscono il diritto na­
turale, se sono «tu tti», comprendono anche quelli che danno vita, per
natura, alla città. La città, insomma, non si esprime solo nel promulgare
le leggi scritte, ma anche nel riconoscere le leggi non scritte, come risul­
ta dal fatto che essa dà ragione ad Antigone. Se Creonte fosse un gover­
nante saggio, dovrebbe capire questo, cioè dovrebbe dare ascolto alla
voce della sua città, del suo popolo, anche quando essa non si esprime
attraverso la legge scritta, ma parla con «voce oscura e silenziosa».
In questo passo, a mio giudizio, sta la soluzione che Aristotele dà al pro­
blema sollevato da Sofocle
nell'Antigone,
mostrando che non si tratta di
scegliere tra un diritto naturale astratto e contrapposto al diritto della città,
come spesso ha creduto una tradizione giusnaturalistica e sostanzialmen­
te antipolitica, che ha fatto di Antigone il proprio simbolo, e il diritto po-
'5 S o f o c l.
Am.
692-700.
14 Ivi, 732-739.
1...,47,48,49,50,51,52,53,54,55,56 58,59,60,61,62,63,64,65,66,67,...272