TRAGEDIA E FILOSOFIA IN ARISTOTELE
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te ne deriva, e il conseguente suicidio di Euridice, madre di Emone e mo­
glie di Creonte, nonché la disperazione finale dello stesso Creonte, come
veri esempi di azioni tragiche, capaci di suscitare quella pietà e quel ter­
rore che si richiedono a una tragedia pienamente riuscita.
\1Antigone
d i­
venta così anche un esempio della catarsi tragica, che costituisce il verti­
ce della poetica di Aristotele. Anzi, come vedremo subito, essa ci aiuta
meglio di molte altre tragedie a comprendere l ’esatto significato di que­
sta catarsi. L’ultima battuta di Creonte, rivolta ai servi, è infatti la seguente:
Portate via questo folle, che senza volere ho ucciso te, figlio, e te ancora.
E non so, ahimè sventurato, dove io guardi, a quale dei due: tutto crolla ciò
che avevo, e sul mio capo si è abbattuta una sorte grave da portare.
Al che il coro risponde, concludendo l’opera:
Di molto, la prima delle felicità è l ’essere saggi
ito phronein): non si
de­
ve commettere mai empietà verso gli dèi. Le grandi parole, che grandi col­
pi ripagano ai superbi, con la vecchiaia insegnano ad essere saggi
(to phro-
nein)}6.
La catarsi tragica, come è stato recentemente chiarito in modo, a mio
avviso, del tutto persuasivo da Pier Luigi Donini, non è che il compi­
mento di un’altra catarsi, quella prodotta dalla musica sui giovani, di cui
Aristotele parla nella
Politica*1.
Qui infatti il filosofo, parlando dell’edu­
cazione che la città deve impartire ai giovani, spiega che essa deve con­
sistere soprattutto nella musica, cioè nel canto, perché il canto produce
la purificazione di passioni come la pietà e il terrore, e precisa che « i can­
ti atti alla purificazione (
kathartika
) procurano agli uomini diletto privo
di danno»38. La catarsi prodotta dall’arte consiste dunque nel purificare
la pietà e il terrore dal danno, cioè dal dolore, che queste passioni, quan­
do sono vissute nella realtà, procurano, e nel sostituirvi una sorta di pia­
cere. Di quale piacere si tratti risulta dall’inizio della
Poetica
, dove Ari­
stotele definisce la poesia come imitazione
(mimèsis)
e spiega che l ’imi­
tazione produce piacere perché fa apprendere, cioè fa conoscere, fa ca­
pire, e per gli uomini il conoscere è la cosa più piacevole che ci sia.
36
SOFOCL.
Ant.
1339-1353.
57 P.
DONINl,
La tragedia e la vita. Saggi sulla «Poetica» di Aristotele,
Alessandria, 2004,
dove si riprende il saggio «
Mimésis
»
tragique et apprentissage de la
«pbronésis
», in «Les étu-
des philosophiques», 2003,4, pp. 437-450.
58 ÀRISTOT.
Pol.
V ili 7, 1342 b 15-16. Mantengo, come Donini, la lezione unanime dei
codici, senza accogliere la correzione di Sauppe, accolta da Ross.
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