UNA NATURA
SECUM IPSA DISCORS
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prietà da’ subbietti»11, producendo così una vera e propria composizio
ne di idee diverse che prende il nome di «mostri poetici»,
come in ragion romana, all’osservare di Antonio Fabro nella
Giurispru
denza papinianea,
si dicon ‘mostri’ i parti nati da meretrice, perc’hanno na
tura d’uomini, insieme, e proprietà di bestie a esser nati da vagabondi o sie-
no incerti concubiti; i quali troveremo esser i mostri i quali la legge delle XII
tavole (nati da donna onesta senza la solennità delle nozze) comandava che
si gittassero in Tevere12.
Questa corrispondenza in Vico tra connotati naturali e connotati ci
vili del mostro è molto forte lungo tutto l’arco dell’opera e stravolge di
certo la correttezza filologica degli eventi, secondo la quale andavano
gettati nel Tevere i parti mostruosi perché anomali a livello fisico e so
prattutto perché operatori di presagio. In quanto ancora risentivano del
carattere di
prodigium malum
attribuito al
monstrum
o al
portentum l).
L’elemento di rarità connesso alla figura mostruosa è la ragione che spin
ge Vico ad attribuire il carattere di mostruosità alla mancata civiltà del
le nozze e non a mostruosità fisiche, anche se è a quelle che si ispira.
Il produttore di
fabulae
è il poeta, o l ’umanità poetica degli esordi,
colui che esprime una verità sotto il velo appunto della favole. Il piano
teoretico della discussione sul rapporto pensabilità-esistenza non è in Vi
co annullato, bensì spostato su un terreno di percorrimento storico. La
ricostruzione di «favole» antiche contempla la formulazione di «carat
teri» (non idee) fantastici, di «caratteri» (non idee) pensabili e fantasti
ci insieme, dove la natura stessa del «carattere» esemplare rifiuta una me
diazione intensa tra piano interno e piano esterno.
Eppure Vico qui, nel suo modo, sta rispondendo anche alle domande
formulate da Cartesio sulla possibilità e sulle modalità del rapporto tra
mente e corpo. In una breve digressione sulla natura del riso presente nel
le
Vicivindiciae
Vico si sofferma sul carattere deformante e caricaturale che
il riso provoca e sul fatto che ridere è una capacità tipicamente umana, non
presente nelle bestie. I poeti hanno rappresentato coloro che «ridono
sconsideratamente e senza misura» con l’aspetto di satiri, «perché la na
tura degli uomini così fatti sta quasi a metà strada tra quella umana e quel
la bestiale». Il ridere all’eccesso provoca una deformazione dell’aspetto del
vero, uno stravolgimento che fa perdere di vista la realtà delle cose.
11
Sn44,
p. 591.
12 Ivi, p. 592.
13 Cfr. F.
M
aroi
,
Linterpretazione dei ‘monstra’ nella legislazione decemvirale secondo
GB. Vico,
in
Per il secondo centenario della 'Scienza nuova’ di G B. Vico (1725-1925),
in «Rivi
sta internazionale di filosofia del diritto», 1925, pp. 153-165.