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MANUELA SANNA
satiro compare nel momento in cui nascono le città e i matrimoni « c e r
ti». Qui si parla - precisa Vico - di mostri civili, non di mostri natu
rali19. Il momento in cui si configura il territorio dell’umano. Ma i mo
stri civili vichiani sono quelli che nascono nell’unione con donne al di
fuori della solennità delle nozze, infrangendo cioè i diritti fondamen
tali della
fam ilia
20; e conservando quell’attributo di
prodigium
asso
ciato al
monstrum
che gli deriva dalla dimestichezza con il diritto clas
sico. Va notato, pur nell’ impossibilità di soffermarci, che nella d i
stinzione tra «m ostri» e «metamorfosi» poetiche gli esempi che porta
nel 1725 e poi nel ’44 sono significativamente diversi: nell’ultima ed i
zione non sono i Satiri 1
'exemplum
dei mostri ma piuttosto i parti ge
nerati da meretrici, e le metamorfosi si fondano già su un’avvenuta d i
stinzione delle idee.
In un recente convegno vichiano sugli «universali fantastici» è stato
notato giustamente che il problema di Vico consiste qui nell’«esporre e
giustificare la peculiarità e l ’irriducibilità dell’umano dinanzi al forte pa
radigma epicureo-sensista da cui risultava una differenza solo graduale
fra l’uomo e gli altri animali»21. L’interesse di Vico sta nell’affermare una
decisa e radicale distanza dall’elemento bestiale, non provvisto d ’inge
gno prima di ogni altra cosa, cioè incapace di elaborare collegamenti,
connessioni, inadatto a
invenire.
E
\’inven ire
mostra la faccia dell’inge
gno relativa al concetto di
generatio
(«v ’è bisogno d ’ingegno per iscoprir
qualcosa»)22. Proprio perché la funzione dell’ingegno è precisamente
nell
'invenire,
nell’inventare nel senso di ritrovare, così come «alla ragio
ne appartiene il perfezionare»25.
La metafora del Satiro verrà utilizzata da Vico anche come esempio
di «mostro civile», che unisce in sé una duplice discorde natura di uo
mo e bestia e solo nella redazione del 1744 i Satiri saranno abitanti del
le selve e non piuttosto delle città; leggiamo il passo di Vico:
dice Livio che, se comunicati fussero da’ nobili i connubi a’plebei, ne na
scerebbe la prole ‘secum ipsa discors’, ch’è tanto dire quanto ‘mostro me
scolato di due nature’: una, eroica, de’ nobili; altra, ferina, d’essi plebei, che
‘agitabant connubia more ferarum’, il qual motto preso Livio da alcuno an-
19 Ivi, p. 1115.
20 Cfr.
MAROI,
op. cit.
21 S.
G
ensinì
,
Su Vico, le metafore e la linguistica cognitiva,
in
II sapere poetico e gli uni
versali fantastici. La presenza di Vico nella riflessione filosofica contemporanea,
a cura di G.
Cacciatore, V. Gessa, E. Nuzzo, M. Sanna, Napoli, 2004, p. 62.
22 G.
VlCO,
De antiquissima Italorum sapientia,
in Id.,
Opere filosofiche,
a cura di P. Cri-
stofolini, Firenze, 1971, p. 301. D’ora in poi
Deant.
25 Id.,
De constantia jurisprudentis,
in
Opere giuridiche,
cit., p. 452. D’ora in poi
De const.