EMILIO SERGIO
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denti con: 1) la pubblicazione della replica di Vico (dal titolo
Vici vindi-
ciae
) alla recensione della
Scienza nuova prima
(1725) apparsa negli
Acta
Eruditorum
(1727), e: 2) la pubblicazione della
Scienza nuova seconda
nel 1730. Ciò che colpisce l’occhio dello studioso sia nella
Petitio
ab
aequanimo lectore
delle
Vici vindiciae
(1729) che nelle pagine finali del
libro I della
Scienza nuova seconda
, è che Vico affermi di non aver più
letto libri da circa vent’anni. Leggiamo dalle
Vici vindiciae
:
Tu vero, aequanime lector, scias me in hypocausto cum lethali praeci-
pitique morbo, tum pericoloso et senibus apoplexiam minitante remedio,
languentem hoc opusculum lucubrasse. Deinde,
quod viginti ferme abhinc
annis libros omnes valere iussi
, ut in doctrinam de iure naturali gentium
aliquid pro mea tenui parte conferrem: pro qua sategi, si in penitissima,
multiiuga et varia universi sensus humani bibliotheca me totum abderem,
ubi vetustissimos gentium auctores, a quibus vix post mille annos scripto-
res provenerunt, evolverem.
Quod idem sibi faciendum Thomas Obbesius
duxit
, qui inter literatos amicos et aequales suos, se, non alia nisi hac via,
eius doctrinae principem extitisse et philosophiam hoc ingenti auctario
cumulasse gloriabatur; sed satis falso tamen, quia Divinam Providentiam,
quae una ipsi tenebricosas rerum humanarum origines perlustranti facem
praelucere poterat, meditatus non est, et ita in obscurissima deploratae
antiquitatis nocte cum caeco Epicuri casu pererrat, contra cuius doctrinas
et principia in primis disputo […]
34
.
34
«Tu, poi, o equanime lettore, sappi che io ho composto questo opuscolo mentre
ero ammalato di un’ulcera cancrenosa alla gola, un morbo non solo mortale e a rapido
decorso, ma anche di una terapia pericolosa e che può causare ai vecchi l’apoplessia.
Sappi poi che
da quasi vent’anni ho dato addio a tutti gli altri libri
per offrire, pur col
mio debole ingegno, un mio contributo alla dottrina del diritto naturale delle genti, e
per questa dottrina mi sono affaticato molto, poiché mi seppellivo tutto in una biblio-
teca appartata e silenziosa e ricchissima di tutte le varie opere del pensiero umano, do-
ve io meditavo sugli antichissimi fondatori delle genti, dai quali, dopo più di mille an-
ni, sono scaturiti gli scrittori;
e questa medesima cosa ha ritenuto di dover fare Thomas
Hobbes
, che tra i suoi amici letterati e tra i suoi contemporanei si gloriava di essere
stato, in questo modo e non in un altro, l’iniziatore di quella dottrina e di aver arric-
chito la filosofia di questa aggiunta importante; ma egli tuttavia si gloriava a torto, per-
ché non ha tenuto in alcun conto la Divina Provvidenza, che avrebbe potuto, essa sola,
illuminare la strada a lui che cercava di conoscere le oscure origini della storia umana;
e così, nell’oscurissima notta dell’antichità perduta nel tempo, egli vaga smarrito se-
guendo il cieco caso di Epicuro, contro le cui dottrine e princípi soprattutto polemizzo
[…]» (G. V
ICO
,
Vici vindiciae
, in
Varia
, a cura di G.G. Visconti, Napoli, 1996, pp. 106
e 107; corsivi miei).