HOBBESANAPOLI(1661-1744)
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Il buon senso ci muove a credere che l’affermazione di Vico sia sin-
cera, almeno sul piano delle
intenzioni
, e a concedere che l’interesse vi-
chiano cominciasse a spostarsi, dopo il 1710, su poche, selezionatissi-
me letture. Diciamo questo perché nella seconda delle dichiarazioni vi-
chiane, quella per intenderci che appare nella riedizione 1730 della
Scienza nuova
, alla frase «stabilimmo […]
da ben venti anni
[…] di
non legger più libri
», Vico aggiunge: «come ultimamente risapemmo
aver fatto […] l’Inghilese
Tommaso Obbes
, il quale […] se
ne vantava
co’ suoi dotti amici
, che,
se esso, come quelli, avesse seguitato a leggere
gli Scrittori, non sarebbe più d’ogniuno di essi
»:
voglia
[
il Leggitore
]
di questa Scienza profittare, come se per lo di lei
acquisto non ci fussero affatto libri nel Mondo
. Nè altrimenti noi l’aremmo
ritruovata, se non se la
Provvedenza Divina
ci avesse così guidato nel
corso
de’ nostri studj
, che,
non avendo avuto maestri
, non ci determinammo da
niuna passione di scuola
,
o setta
; e ‘n cotal guisa dalla
bella prima
, che inco-
minciammo a
profondare ne’ Principj dell’Umanità Gentilesca
, sempre
Questo passo appartiene ad una
vexata quaestio
del pensiero vichiano, su cui ci
sono state interpretazioni controverse già sui criteri di traduzione. Paolo Rossi notò
nella traduzione Sansoni 1971 una forzatura che «sconvolge completamente il senso
del passo», consegnando al lettore «l’immagine, più rassicurante, di un Vico assiduo
frequentatore di biblioteche» (P. R
OSSI
,
Chi sono i contemporanei di Vico?
, in I
D
.,
Le
sterminate antichità
, Firenze, 1999, p. 294). L’edizione Sansoni traduce l’espressione
quod viginti ferme abhinc annis libros omnes valere iussi
con «per vent’anni consultai
tutte le opere possibili» (G.
V
ICO
,
Vici vindiciae
, in
Opere filosofiche
, cit., p. 372),
laddove Rossi scrive: «quasi vent’anni fa decisi di dire addio a tutti i libri» (
op. cit.
, p.
291). Il testo latino e la traduzione di Gian Galeazzo Visconti sciolgono ogni dubbio.
Non possiamo non ricordare che la critica di Rossi prendeva le mosse da un’inter-
pretazione che intendeva consegnare l’immagine di un Vico ‘inattuale’, chiuso in una
sorta di isolamento culturale, e perciò restìo a leggere, almeno da un certo tempo in
poi, le opere dei suoi
contemporanei
. Gli studiosi di Vico conoscono bene sia le criti-
che a cui la tesi di Rossi è andata incontro, sia il fatto che lo stesso Rossi sia tornato in
seguito sulla questione, dichiarando da una parte che con l’idea di un Vico ‘inattuale’
egli si sforzava semplicemente di chiarire che «in filosofia […]
avere
letture arretrate
non significa […] necessariamente
essere
su posizioni arretrate» (
Devozioni vichiane
,
in «Rivista di filosofia» LXXXVI, 1995, 2, p. 175), concedendo dall’altra che, dopo il
1710, lo ‘scrittoio’ di Vico continuasse ad ospitare opere scelte di grandi autori classi-
ci, antichi e/o moderni – anche se
non
di suoi contemporanei (
Intervento
al
Seminario
di presentazione dell’edizione critica di Giambattista Vico
, in questo «Bollettino»
XXVIII-XXIX, 1998-1999, pp. 266-267). Nel corso della nostra ricerca ci siamo tut-
tavia persuasi che, dopo il 1710, dallo ‘scrittoio’ di Vico siano passate opere
non solo
di autori ‘classici’, ma
anche
di
suoi contemporanei
. Si vedano
infra
, note 40-44.
1...,117,118,119,120,121,122,123,124,125,126 128,129,130,131,132,133,134,135,136,137,...244