FABRIZIO LOMONACO
16
fatti umani nella molteplicità e varietà dei moventi e dei condiziona-
menti della storia concreta, disincarnata dalle astratte vedute in grande
della storia
filosofica
della filosofia di origine hegeliana, onnicompren-
dente nelle sue istanze definitorie e definitive. Nella
filologia
quale au-
tentico «metodo critico» di riconoscimento e finanche di costituzione
del
verum
è la svolta del pensiero vichiano, il grande «merito storico»
della
Scienza nuova
che trasforma alle radici il senso delle relazioni tra
filosofia
e
filologia
, disancorando quest’ultima dal tradizionale ruolo
puramente strumentale rispetto alla prima che diventa uno degli esiti
possibili della sua attività:
La filologia egli [Vico] aggrandì, e dalla significazione minuta delle
parole sollevolla all’altezza di un sistema scientifico; e la vita dei popoli
studiò in tutte le più serie manifestazioni in cui suole improntarsi, né
contentassi a raccogliere strambotti e novelline, come si usa oggi dai più,
non so con quanto costrutto.
Proprio da filologo, Vico eguaglia per capacità filosofica Descartes
e lo supera, al punto che un anno dopo aver pubblicato la sua grande
opera attribuisce al filosofo francese quel «medesimo difetto» dell’au-
tore del
De antiquissima
in fatto di definizione dell’idea per
genere
e
differenza
. Nella relazione con il filosofo francese, fatta di sintonie e di
contraddizioni, sta il fascino e la complessità di un pensiero che vede
le riserve anticartesiane applicarsi alla propria nozione di «mente infi-
nita» e che, nel «mutare consiglio», può «raggiungere la stessa meta
per diversa via». Lo documenta, in particolare, la storia delle origini
del diritto romano, dove si è certi di trovare manifestazioni originali di
quel popolo e «se non la speculativa, almeno la pratica sapienza», ri-
sultando quello
ius
«quasi un transito dalla sapienza riposta e specula-
tiva alla volgare e spontanea». È una trasformazione delicata ma ori-
ginalissima che fa vedere «le vere origini della scienza e della storia»
dentro la storia dei «tempi oscuri». Vico intende rifarla non sopra le
antiche tradizioni, «infide custodi dei fatti antichi, ma su la lingua la
cui impronta mai non si cancella, e che perciò basta a ricongiungere
l’età presente con le più remote»
12
. Per i già numerosi lettori, consape-
voli delle arbitrarie interpretazioni e che, perciò, non «credono più su
la parola, come in altri tempi», queste considerazioni sono un antidoto
12
F. F
IORENTINO
,
Lettere sovra la
Scienza nuova, cit., pp. 165, 171-172, 175, 177,
179, 203.