RECENSIONI
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a quello
quiritario
): «Dall’‘eroe’ all’‘uomo’ è trasvalutato tutto un universo di
‘senso’, l’intero significato dell’approccio alla vita, alla sua conservazione, alla
sua alimentazione. Che poi l’età degli uomini, al culmine della ‘comune na-
tura delle nazioni’, in questa sua stessa, costitutiva e potentissima versatilità
porti sempre iscritta la possibilità della crisi, è forse
il
pensiero di Vico, la sfida
che regge e innerva di passione e ragione tutta una grandiosa avventura filoso-
fico-politica» (pp. 107, 108).
Impostata così la sua ricostruzione, Caporali si preoccupa, poi, di mostra-
re l’originalità dell’argomentazione vichiana che, pur vincolando lo stato di
ogni nazione alla sua origine e fine, non ne appiattisce la fisionomia con l’im-
mediata identificazione in uno dei due momenti. E, tuttavia, questa teorica
equidistanza non esclude in Vico che la relazione tra lo Stato e il progresso ri-
sulti diversa dal nesso che unisce il fine del corso storico alla sua fine e che
salva dai vincoli deterministici del naturalismo e dell’organicismo provviden-
zialistico d’origine polibiana. Il tutto alla luce di un’enfatizzazione dell’anda-
mento lineare del corso storico nel 1725 e in alternativa all’esigenza, matura
nel 1730, di «ragionar geometricamente» che Caporali, d’intesa con Battistini,
giudica «velleitaria» e «illusoria» (p. 74). Con ciò l’A. stimola indirettamente a
una riflessione sul tempo storico in Vico. E lo fa con analisi sempre puntuali e
acute, tese a riconoscere la fisionomia dei diversi momenti dell’itinerario spe-
culativo indagato, ma incline a presentarlo orientato nella forma semplificata
e affatto irrigidita di un passaggio progressivo-ascensionale dal
Diritto univer-
sale
alla
Scienza nuova
, di una drastica svolta successiva alla prima edizione
dell’
opus maius
. Da qui i problemi che una simile impostazione comporta e
che appaiono degni di una discussione più ampia di quella qui consentita: la
considerazione della storia lineare e, insieme, aperta ai possibili momenti
drammatici di
decadenza
e
moltitudine
(discussi nel già citato capitolo VI di
questo libro); l’originale equazione di
linearità
e
teleologia
, di
conservazione
ed
equità
, espressione di
verità
e
giustizia
, mai del tutto conseguite finanche
nei «tempi umani»: «Una teleologia forte, che spinge palesemente verso i mo-
menti
alti
del ciclo, verso la ‘spiegata’ umanità quale
compimento
dell’ ‘inuma-
nissima umanità’; una nitida percezione delle sue forme politiche alternative
(tra Stato
repubblicano
e neutralizzazione del conflitto); l’indugio sui momenti
bassi
del corso, a delineare la crisi come un orizzonte aperto, inscritto nella
peculiarità dell’età degli uomini, allorché il fondamento teologico cede alla
potentissima ma inquieta mobilità della ‘funzione’, della ‘relazione’ produtti-
va; e soprattutto: la moltitudine (la ‘plebe de’ popoli’) come soggetto-oggetto
decisivo di tale cambiamento. Superiorità, apicalità del moderno e, insieme,
avvertimento, monito del rischio costitutivo. Mediata attraverso un comples-
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