AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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que di «vivificare la rappresentazione
storica attraverso i nostri vissuti riviven-
do partecipatamene le azioni storiche pas-
sate sulla base di un modello psicologico
di umanità comune a tutti» (p. 127), in
una identificazione fra soggetto e oggetto
che ricorda la vichiana identificazione fra
verum
e
factum
. Inoltre, Dilthey sembra
particolarmente colpito dalla concezione
vichiana di una «metafisica del genere
umano» capace di esplorare i sentimenti e
le forze psicologiche che influenzano le
azioni umane (cfr. p.135). Il nesso fra Vico
e Dilthey non sfugge a Gadamer, che
proprio nel pensatore napoletano trova il
fondamento dello storicismo romantico e
del suo carattere fondamentale di contem-
poraneità di soggetto e oggetto che di-
mentica la «condizionatezza della co-
scienza dell’interprete» (p. 139) e poggia
le sue radici nel principio di conver-
tibilità di vero e fatto. La pretesa di asso-
lutezza delle scienze dello spirito da par-
te di Dilthey dovrebbe essere ridimensio-
nata bandendo l’assunto di Vico dall’am-
bito della coscienza storica per ricondur-
lo al suo terreno d’origine, quello della
produzione artistica (cfr. p. 140).
Secondo Gadamer, anche l’ermeneu-
tica novecentesca di autori come Betti e
Collingwood, nonostante qualche presti-
to dalla fenomenologia, ha un forte debi-
to con l’ermeneutica romantica e soprat-
tutto con il principio vichiano. «Vico vie-
ne presentato, nella lettura di Betti, come
un precursore del paradigma interpreta-
tivo romantico» (p. 148), così come «non
stupisce di ritrovare menzionato con una
certa enfasi il principio vichiano di con-
versione tra vero e fatto» (p.159) nel-
l’opera di Collingwood.
L’A. conclude facendo il punto sul
rapporto profondo che Gadamer indivi-
dua fra l’ermeneutica idealistico-roman-
tica e il pensiero di Vico. Questo rappor-
to è talmente importante che si può con-
siderare l’ontologia ermeneutica gada-
meriana come «un tentativo di critica dei
presupposti vichiani della comprensio-
ne» (p. 162), opponendo la consapevo-
lezza che l’arte, la cultura e la storia «non
sono confinabili nella ristretta sfera della
coscienza umana» (p. 164).
[R. E.]
42. P
LACANICA
Augusto,
Scritti
, t. III,
a cura di M. Mafrici e S. Martelli, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 544.
Il denso volume raccoglie del Placa-
nica le pagine dei suoi ultimi anni più di-
rettamente impegnate nello studio della
storia dei linguaggi e delle idee, della
«mentalità» e della «cultura» meridiona-
li. Nell’orizzonte degli interessi «antro-
pologici» – che la puntuale introduzione
di Giuseppe Galasso aiuta a definire nel-
l’originalità dei suoi contrassegni letterari
e umanistici (distinti perfino dalle giova-
nili influenze delle «Annales», p. 12) – i
richiami a Vico emergono, innanzitutto,
dalle eleganti ricostruzioni di ambienti
settecenteschi (la Napoli di Filangieri e
di Goethe in
Goethe e dintorni: la Sicilia
tra conoscenza e autorappresentazione
,
pp. 52, 54 e in
L’identità del meridionale
,
p. 361), nonché da riflessioni e indagini
su temi di «costume» e società presenti
nella
Coniuratio
vichiana, avvicinata alle
pagine di Doria, Giannone e Muratori
con «preciso riferimento alla inerzia, e al
sostanziale decadimento del ceto medio»
(p. 69, ma cfr. anche le pp. 75-76 del sag-
gio su
Lo stereotipo del meridionale e il
suo uso nel Settecento napoletano
).
Dal punto di vista storiografico è si-
gnificativa la riflessione del Placanica sul-
l’illuminismo e le sue eredità «dialet-
tiche» in Adorno e Horkheimer che, au-
tori del noto apologo di Ulisse, simbolo