VINCENZO PLACELLA
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inaugurali I-VI
erano state affidate a un altro bravo studioso, Gian
Galeazzo Visconti. Monti volle studiare a fondo tutti i testimoni delle
Orazioni
: il manoscritto apografo di I-VII (D), l’apografo XIII B 36
della Biblioteca Nazionale di Napoli (C) recante la sola seconda
Ora-
zione
, mutilo all’inizio; il cosiddetto «Sommario», autografo di G. Vico
che nel codice XIII B 55 si trova prima di D, le
Emendationes
auto-
grafe alle prime cinque
Orazioni inaugurali
contenute nello stesso co-
dice. Con stringente argomentazione Monti dimostra che le
Emenda-
tiones
si riferiscono alle prime cinque
Orazioni
, sì, ma in una redazione
antecedente a quella esibita da D; inoltre, dallo studio attento di tutti i
testimoni, comprese le stampe ottocentesche, Monti giunge, magistral-
mente, a una vera e propria ricostruzione stemmatica della vicenda
compositiva della sette
Orazioni
. Inoltre, mai su un manoscritto vi-
chiano era stata applicata una
expertise
pari a quella esibita da Monti,
tra l’altro nello studiare le stratificazioni interne a D, distinguendo fra
testo d’impianto, correzioni innovative e correzioni restaurative da
parte dell’autore. Erano gli anni della grande filologia applicata da
Dante Isella al
Giorno
e alle
Odi
del Parini – e Isella era stato più volte
invitato nei seminari vichiani del Centro su mio suggerimento.
Utilizzando tutte le testimonianze disponibili, Monti offre, inoltre,
una nuova cronologia delle
Orazioni inaugurali
così come furono lette.
Di alta filologia il cap. V del libro, «
Emendationes» e storia del testo
,
dove il filologo, esaminando queste pagine autografe del Vico, dimo-
stra, con un approfondito esame di tutti i testimoni, che esse si riferi-
scono al testo primitivo delle
Orazioni inaugurali
, quello effettivamente
letto all’Università, anzi
ai
testi primitivi: dimostra anche che si trattava
di cinque fascicoli distinti. Mostra, inoltre (nessuno se n’era accorto)
che le
Emendationes
furono rifuse nel codice D.
Non è questa la sede per un esame particolareggiato di questo impor-
tante libro (del resto, ne discussi, come accennato, nel citato mio volume
del 1979, e a quelle pagine mi permetto di rimandare). Basti aver ricor-
dato e riaffermato l’importanza fondante di quello studio del Monti.
Esisteva un’antica amicizia, affetto e stima, tra me e Salvatore Mon-
ti. Pietro Piovani volle farmi leggere le bozze di stampa del libro dello
studioso, raccomandandomi di non dirlo a nessuno. Mantenni la pro-
messa fatta al caro Maestro e non penso di tradirla parlandone adesso.
Dopo la lettura espressi il mio entusiasmo a Piovani per l’alto valore
dello scavo compiuto da Salvatore Monti. Era un periodo di intenso e
appassionato lavoro; si stavano ponendo le fondamenta di una impresa