«MEMOREEVIDENTEMENTEDELL’ESEMPIOVICHIANO»
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della «città» universale composta dall’eletta schiera dei sapienti
91
, uniti
vicendevolmente da quella conoscenza condivisa della legge divina,
posta a guida dell’universo, che è poi il nocciolo costitutivo della sa-
pienza umana.
Nel
De antiquissima Italorum sapientia ex liguae latinae originibus
eruenda
92
– del quale fu scritto e pubblicato, a Napoli nel 1710, solo il
primo (
Liber metaphysicus
) dei tre libri previsti – il filosofo settecen-
tesco si propone di ricercare – ‘estrarre’, ‘dissotterrare’, ‘portare alla
luce’ (
eruere
) – «l’antichissima sapienza» dei remoti popoli italici, per
la precisione degli Ioni e degli Etruschi, che si nasconde addensata e
sedimentata in alcune voci e locuzioni della lingua latina. L’«antichissi-
ma sapienza» che Vico crede di aver ritrovato in quei primi abitatori
della penisola è in realtà la sua teoria del
verum-factum
, già enunciata
di passaggio nel
De ratione
93
. Ciò che rende il
De antiquissima
interes-
sante per il discorso che qui si sta svolgendo è la presenza in que-
st’opera di una ben dosata commistione fra indagine storiografica ed
invenzione filosofica. Vico ricostruisce storicamente e costruisce teore-
ticamente al tempo stesso (si potrebbe dire:
ri-costruisce
): sua inten-
zione è quella di ‘estrarre’ dalla lingua latina il sapere filosofico di un
remoto passato che evidentemente egli ritiene ancora valido per il suo
presente, o, specularmente, offrire ai suoi contemporanei ed ai posteri
un proprio originale pensiero ‘certificandolo’ con la dimostrazione
storica della sua appartenenza ad un’antica cultura italica. Questo sin-
golare modo di procedere non sembra denunciare in Vico il puro e sem-
plice bisogno conformistico di attenersi all’«uso comune» a tutti i filoso-
fi dell’età moderna più o meno «platonizzanti» di «esporre il proprio
pensiero come dottrina de’ più famosi ed antichi, ancorché mai esistiti,
filosofi e sapienti»
94
; piuttosto è il segno visibile di un’impellenza da cui
91
«La cittadinanza di questa città – scrive Vico definendo il requisito necessario
per poter essere annoverato fra i suoi membri – è comune soltanto a Dio e ai sapienti,
poiché gli uomini conseguono la partecipazione a questo diritto non per privilegio no-
biliare, non per figli, non per meriti acquisiti navigando e combattendo, ma
con la loro
sapienza
» (ivi, p. 115; i corsivi sono nostri).
92
G. V
ICO
,
De antiquissima Italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda
, a
cura di M. Sanna, Roma, 2005; d’ora in poi
De ant
.
93
Cfr. I
D
.,
De nostri temporis studiorum ratione
, in
Opere
, 2 voll. a cura di A. Batti-
stini, Milano, 2001
3
[1
a
ed. ivi, 1990], vol. I, pp. 88-215, qui p. 117.
94
G. G
ENTILE
,
Studi vichiani
, Firenze, 1968
3
[1
a
ed. Messina, 1915], p. 108.