ANDREA DI MIELE
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catarsi
»
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non ravvisando nella forza del dramma e dell’angoscia un
primo momento di consapevolezza storica ed etica
27
.
Paci presenta dunque una lettura opposta tentando, non senza per-
plessità e timori, come dimostrano le lettere al Nicolini
28
, di schiudere
un orizzonte inusitato all’insegnamento vichiano dove il dolore e la
barbarie, già intesi come sentimenti intimi e inconsci che l’uomo custo-
disce nel ricordo ancestrale e primitivo, vengono esplicitati, resi consci,
attraverso la parola e l’espressione, nel canto.
Vorremmo ancora notare che qui, in Vico, Paci ripropone il mede-
simo movimento poietico già osservato nell’interpretazione platonica e
che ritroveremo in Husserl e nell’enciclopedia.
La
penia
dell’eros, l’assenza, il dolore, ovvero, ora, i
martìri acerbi
che Vico narra negli
Affetti
, non sono, per Paci, luoghi di uno spaven-
tevole
nihil
ma luoghi, pur silvani e barbarici, nel cui fondo, però, brilla la
positività totipotenziale dell’essere. Quanto più la rosa delle potenzialità
positive verrà tradotta in atti, tanto più l’uomo avrà assolto il suo compito
di
uomo
, ovvero di individuo storico che risolve le sua azione in vista della
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Dopo aver rimarcato la vicinanza dei temi vichiani a quelli degli ‘ateisti ed epicu-
rei’ che furono condannati dall’Inquisizione in quegli anni, Croce conclude: «Ma al di là
da questi particolari, in tutta la canzone domina una forma mentale che non è quella di
un uomo che sia pio, il quale non mai avrebbe atteggiato al modo in cui sono in essa at-
teggiati l’umano dolore e il proposito di abbatterlo e di sprezzarlo con lo spingerlo alla
più alta potenza, e la visione della fine del mondo senza giustizia e senza regno di Dio,
come tragedia senza catarsi» (cfr. B. C
ROCE
,
Gli ‘affetti di un disperato’
, in I
D
.,
Letture di
Poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia
, Roma-Bari, 1950, p. 85).
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«Le suggestive pagine crociane dedicate alla canzone di Vico tendono a dare ri-
lievo all’aspetto negativo della crisi, la quale mostrerà la sua efficacia nelle meditazioni
successive» (M. D
ONZELLI
,
Natura e humanitas nel giovane Vico
, Napoli, 1970, p. 27).
28
In una lettera del dicembre 1948, indirizzata al Nicolini, Paci scrive: «Sono qui
preoccupato di un problema. Certamente il Vico intendeva nel
De antiquissima
la
na-
tura
come qualcosa di realistico. Nel mio libro ho cercato di porre in evidenza il signi-
ficato dinamico, di
slancio vitale ante litteram
,
che a volte la natura ha per Vico. Temo
di essere andato troppo oltre per cui il Croce mi ha richiamato al significato realistico
della
natura
vichiana. Ho paura che il Croce abbia ragione e che la mia tesi è sostenibi-
le in quanto io ho pensato Vico dal punto di vista di Kant, sviluppando dal pensiero
vichiano germi impliciti che poi vengono alla luce soltanto in Croce. Tuttavia accanto
alla natura realistica c’è in Vico, forse non coerentemente, o meno coerentemente di
quanto io abbia creduto, una natura come
erramento ferino
,
non fusa, magari, con l’al-
tra, ma
comunque presente
. In sostanza su questo punto mi trovo di nuovo incerto. Un
contrasto con Croce fa pensare» (cfr.
Lettere dal Carteggio di Enzo Paci con B. Croce e
F. Nicolini
, cit., pp. 107-108).