«IPSI CAUDA SCORPIONIS IN ICTU FUIT»
103
vano tanto preoccupato i due consultori dell’Indice e, a monte, il de-
nunziatore. Nel
Prologo
al
Servio Tullio
Gravina prosegue notando che
i membri della corrente politica interna alla Curia sui quali si sta in
questi versi soffermando «dichiarano empio»
103
chi, come Gravina,
«con le sue virtù, con le sue lettere / è tacito censor delle male ope-
re: / le quai si studian proporre per regola, / affin di dare autoritate al
vizio, / per cui sostegno corromper vorrebbero, / con interpretazioni
false e libere / la parola di Dio»
104
. Allo stesso modo nel brano incrimi-
nato dell’
Andromeda
, Proteo dice: «Giove […] / voi date per autor de
i vostri oracoli, / e con applauso dell’istesso popolo/tosto uccidete chi
li vuol discernere». I sacerdoti sono accusati di «fraudolenzia» nel bra-
no incriminato dell’
Andromeda
e di «fraude»
105
nel
Prologo
al
Servio
Tullio.
E allo stesso modo i sacerdoti, nel
Prologo
al
Servio Tullio
,
con-
culcano il popolo «con l’iniqua e venduta sentenzia»
106
, chiaro riferi-
mento alle
Satire
di Sergardi, strumento di cui chi è al potere si è servi-
to per screditare un personaggio scomodo come Gravina; ed è proba-
bile che questa corrente politica abbia appoggiato Sergardi nel suo se-
condo attacco a Gravina: la denunzia al Sant’Uffizio. Gravina esprime
la consapevolezza che chi, come lui, si contrappone alla cultura e alla
politica della corrente imperante nella Curia «contro sé della corte ac-
cende l’odio»
107
, per cui essa trova il modo di screditarlo
108
in modo da
rendere innocue le sue accuse
109
, proprio come il saggio nel brano in-
criminato dell’
Andromeda
è escluso «dal consorzio»
110
.
Il
Prologo
del
Servio Tullio
si conclude con un verso che esprime la
consapevolezza da parte di Gravina che la sua voce espressa in questi stes-
si versi sia «soggetta a capital pericolo»
111
.
103
Ivi, v. 298.
104
Ivi, p. 319, vv. 300-306.
105
Ivi, v. 315.
106
Ivi, v. 296.
107
Ivi, p. 318, v. 258.
108
Ivi, p. 319, v. 316.
109
Ivi, p. 320, v. 317.
110
Dagli ultimi versi del
Prologo
al
Servio Tullio
emerge che Gravina aveva auspi-
cato un ritorno al latino proprio della «Chiesa pristina» e dei «Padri» (ivi, v. 327), lad-
dove aveva invece trionfato la corrente di chi aveva introdotto nelle curia «un nobil ma-
caronico» (ivi,
v. 326) «tessendo il parlar d’ebraiche formole» (ivi, v. 325), «sicché all’in-
troduzione delle lettere / s’oppon falsa virtute e aperto vizio» (ivi, vv. 344-345).
111
Ivi, v. 348.