«IPSI CAUDA SCORPIONIS IN ICTU FUIT»
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esse contenute, tanto da arrivare alla denunzia ad opera probabilmente
di Sergardi o di qualcuno della cerchia. C’è inoltre da notare, di questi
versi, che Gravina dice le stesse cose che scrive Bertolotti nella prima
relazione dove confuta le accuse di empietà ai diciannove versi del-
l’
Andromeda
, dicendo che Gravina, nel criticare il sacerdozio pagano,
non voleva velatamente criticare quello cristiano, ma faceva una critica
giusta ai sacerdoti pagani, le cui nefandezze erano raccontate, aggiunge
Bertolotti, da Numa Pompilio, nei suoi libri, oggi andati perduti, che
aveva scritto sui sacrifici, come ci racconta Plutarco, che li lesse, nella
vita di lui
115
. Gravina, però, nel brano appena citato (c. 43v) del
Prolo-
go
inedito al
Palamede
, nel rispondere alle accuse a lui rivolte di em-
pietà nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, afferma che erano i
suoi censori e non lui a non distinguere tra il sacerdozio pagano e quel-
lo cattolico, e che questo faceva parte del loro disegno di «ferir di na-
scosto il sacerdozio». Più avanti, sempre alla c. 43v, aggiunge che al-
cuni sacerdoti (probabilmente della cerchia di Sergardi) sono davvero
«perfidi» e che in fondo gli attacchi alla sua persona provengono dalla
consapevolezza che hanno i suoi accusatori del fatto che i vizi dei sa-
cerdoti pagani erano davvero propri di alcuni sacerdoti cattolici.
Alla carta 44r Gravina contrappone l’«immortal premio» che Palamede
guadagna col suo sacrificio agli «empi» «censori» della tragedia omonima,
Che la mortal felicità prepongono
A quella eternità di onore e gloria
Ch’à destinato il cielo all’innocentia.
Ma i censor nostri non san riconoscere
Virtute alcuna fuor del molinesimo
E parlar di pietà siccome sogliono
Le puttane parlar di pudicizia.
Onde meglio sarebbe che tacessero:
Ch’al nostro autor non mancano notizie
Come né meno manca la memoria.
E lo comproverà con le commedie,
Ch’al Principe potran del Satiresimo
L’esame agevolar della coscienzia
Se mai vorrà pigliarsi tale incommodo.
Ciò potrà bastar per ora agli avversari
Onde men vò per comparir in opera.
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Relazione di L. B
ERTOLOTTI
, cit., c. 642v.
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