GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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Ma ancora, proprio per ciò, era stato e rimaneva essenziale raffron-
tarsi con l’impetuosità della radicalità teorica del pensiero di Gentile e
insieme con la rilevanza della sua produzione storiografica (tanto viva
segnatamente negli studi rinascimentali, ma con tracce assai rilevanti
anche nel campo degli studi vichiani che qui più interessano). In parti-
colare negli anni ’30, l’ancora forte eminenza dell’attualismo nel pano-
rama della vita intellettuale e dell’organizzazione della cultura, e, ad un
tempo, proprio importanti momenti della sua ‘crisi’ rendevano per cer-
ti aspetti più vivaci le frequentazioni di Garin con taluni ambienti che
a quella filosofia si ispiravano più problematicamente, e comunque an-
cora più impellenti le ragioni di un confronto complessivo con essa
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; a
parte la ben meno rilevante, ma non del tutto trascurabile, sollecitazio-
ne che pure poté venire dal pur limitato incontro personale del gio-
vane studioso con il più ‘energico’ protagonista di quel panorama, il
quale – si sa – ebbe a proporgli il lavoro di trattazione sistematica del
secondo volume della vallardiana
Storia della filosofia italiana
, nel
del pensiero di Croce ha agito, sul piano teorico, proprio sul terreno di una conce-
zione della filosofia – e della storia della filosofia – imperniata nella distruzione della
figura del ‘filosofo’, degli ‘eterni problemi’, del concetto tradizionale di ‘sistema’, in-
serendosi nell’ambito di una più generale polemica anti-metafisica» (M. C
ILIBERTO
,
Gli studi di storia della filosofia in Toscana. 1930-1960
, in «Rivista di filosofia» XCII,
2001, anche nel volume dello stesso autore, da cui cito,
Figure in chiaroscuro. Filoso-
fia e storiografia nel Novecento
, Roma, 2001, p. 35). Il saggio di Ciliberto presenta
dense pagine, da tenere sicuramente presenti, su «La filosofia come ‘sapere storico’:
la ricerca di Garin» (pp. 33-44); pagine precedute dall’opportuno richiamo al debito
contratto da Garin, e sempre da questi riconosciuto, verso l’insegnamento di Limen-
tani di cui si diceva. E Ciliberto in proposito non manca di ricordare (p. 33) un in-
tenso passo gariniano che si legge in
Sessanta anni dopo
(p. 128): «Fu Limentani che
nelle lezioni, nelle conversazioni e nei libri, e poi in un’amicizia durata fino alla sua
scomparsa nel ’40, nell’amarezza della campagna razziale mi dette il senso di un mo-
do di fare filosofia e di affrontarne la storia, al cui spirito ho cercato di mantenermi
fedele».
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Riferendosi a frequentazioni, nella seconda metà degli anni ’30, di Garin con
‘idealisti’ irrequieti quali Luigi Russo, Ernesto Codignola, Guido Calogero, è stato per-
suasivamente detto che «l’ambiente dal quale egli veniva era […] antiidealistico, ed
egli non lo rinnegò mai», ma allora probabilmente «fu combattuto tra la fedeltà al-
l’austero ambiente, positivistico e insieme ‘religioso’ […] da cui veniva, e il cenacolo
‘idealistico’, percorso a sua volta da ogni sorta di tensioni, ma tutto sommato più vivace»
(C.
C
ESA
,
Momenti della formazione di uno storico della filosofia. 1929-1947
, in
Eu-
genio Garin: il percorso storiografico di un maestro del Novecento
, a cura di F. Audisio e
A. Savorelli, Firenze, 2003, pp. 22-23).