GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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In tal modo Gentile, ben più che Croce, doveva essere il luogo di un
confronto con il complesso delle ‘eredità neoidealistiche’, in ordine: ad un
modello teorico del sapere storico-filosofico; ad un disegno, e programma
di lavoro, relativo alla storia del pensiero italiano, alla tradizione italiana; a
forme e contenuti della pratica storiografica. E si può qui almeno accen-
nare a qualche tratto interpretativo in proposito: ovviamente senza inol-
trarsi adesso in una discussione su caratteri e significati della formazione e
del consolidamento della posizione di Garin nel quadro della «crisi del
neoidealismo», da qualcuno descritta nei termini di una fuoriuscita, una
«risoluzione ‘storiografica’» (quindi debolmente teorica) da quella, o nel
quadro di ciò che è stata chiamata la «parabola Gentile-Garin»
10
.
testi inediti e poco diffusi» (E. G
ARIN
,
Storia della filosofia italiana
, cit., pp. 17-18).
Viene facile osservare che per nessuno come per Garin si possa affermare – afferma-
zione sulla quale si tornerà tra poco – qualcosa di analogo, e per un lavoro storiogra-
fico svoltosi lungo un arco di tempo che, a partire già dagli anni ’30, copre pressoché
tutto il restante secolo XX. Comunque va detto che fu in effetti costante l’apprez-
zamento di Garin per ‘questo’ Gentile storico della filosofia, ben prima che negli ul-
timi anni egli si aprisse a maggiori riconoscimenti del Gentile filosofo europeo, con ciò
distanziandosi da toni maggiormente ‘ideologici’ con i quali anch’egli aveva parteci-
pato alla stagione della ‘storiografia dell’antifascismo’.
10
La prima espressione è usata in particolare da M. C
APATI
,
Cantimori, Contini,
Garin. Crisi di una cultura idealistica
, Bologna, 1997, ad es. p. 75. Nel capitolo del
libro dedicato a Garin (pp. 73-105) l’autore in effetti prova a dare attuazione, tardiva e
in effetti ancora limitata, ad un
desideratum
espresso già svariati anni prima da Genna-
ro Sasso: «Ricostruire la storia di Garin, dai suoi primi studi, culminati nella mono-
grafia pichiana del ’37 e nel libro del ’41 sull’illuminismo inglese, fino alle più recenti
indagini storiche e teoriche, sarebbe molto interessante; ed è anzi un compito, questo,
che la cultura italiana, così curiosa del suo più recente passato, dovrebbe non tardar
oltre ad attuare» (G. S
ASSO
,
Intorno alla storia della filosofia e ad alcuni suoi problemi
,
scritto apparso nel 1966 nel «Giornale critico della filosofia italiana» e poi ricompreso
in I
D
.,
Passato e presente nella storia della filosofia
, Bari, 1967, p. 55). Nel cominciare
opportunamente ad assolvere a questo compito, Capati nelle sue pagine (in verità
venate da una qualche sentenziosità del tono), in effetti ha sviluppato anche una chiara
traccia presente già nell’intervento citato di Sasso. Questi infatti vi sottolineava come
«l’opera storica
e filosofica
» di Garin fosse stato «il momento più intenso» dell’impe-
gno a trovare una «soluzione della crisi» della cultura filosofica italiana idealistica, co-
stituendo in essa «una guida e un punto di riferimento», in un raccordo fra storia e
filosofia documentato dalla stessa ricerca nell’umanesimo, da parte del «maestro degli
studi umanistici», «di una nuova filosofia dell’uomo e del suo orizzonte terreno», sulla
scorta appunto di una «profonda esigenza di una filosofia umanistica» (pp. 53-54); ma
allo stesso tempo riprendeva anche l’argomento (temperatamente ‘gentiliano’) che una
«concezione plurale del filosofare», unita ad «una visione della realtà umana come
mobile processo», comunque costituiva «una filosofia tutta dispiegata», non oggetto di
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