ENRICONUZZO
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Si può accennare cioè al fatto che, da parte di Garin, fu da presto
rimarchevole il rifiuto del ‘modello speculativo’ neoidealistico del sa-
pere storico-filosofico, e in ultimo del nesso di ‘gradazione assiologica’,
come si può dire, tra filosofia e cultura, tra alta speculazione e impura
empiria. Su ciò il principale avversario della concezione della «filosofia
uno sforzo più pieno, invece solamente accennato, di approfondimento teorico della
sua «problematicità» (pp. 64-66).
Non conta qui discutere – in ordine alla «presenza» o «prepotenza» della filosofia
nel discorso storico – attorno alla non difficile ‘assorbibilità’, in una filosofia coerente-
mente ‘storica’ e ‘plurale’, dell’obiezione secondo la quale «la ‘visione della realtà co-
me mobile processo’ non parteciperà essa stessa del processo», e «la ‘concezione plu-
rale del filosofare’ non potrà non essere, a sua volta, una concezione ‘singolare’ della
pluralità delle filosofie» (p. 66). Si può invece concordare sulla diagnosi che cautamen-
te si profilava nelle pagine di Sasso, e che in quelle di Capati viene affermata più deci-
samente, e cioè sulla chiara propensione da parte di Garin di esercitare di fatto una
programmatica messa sotto tono delle più forti pieghe teoriche, ‘speculative’, pur di-
verse volte non taciute (e segnatamente nella parte iniziale della sua vicenda intellet-
tuale), del lavoro da lui condotto. E ciò non senza conseguenze – si dirà – sullo stesso
modo di affrontare autori come Vico. Proprio pensando però alla natura di tali posi-
zioni, inflessioni se si vuole, di ordine teorico (impregnate dello spirito di un’eminenza
‘religiosa’ della morale non assorbibile in un’ulteriorità speculativa) e ancor più al-
l’ideale e alla pratica dell’indagine storiografica di Garin tra anni ’30 e anni ’40, può ri-
sultare insidioso parlare a proposito suo di ‘fuoriuscita dall’idealismo’. Le analisi più
avanti avanzate, e su studi di Garin su argomenti almeno agli inizi assai meno ‘suoi’, a
mio avviso confermano lo spiccato carattere non idealistico, antiidealistico, già della
sua produzione fra gli anni Trenta e il 1947, l’anno dell’uscita della continuazione del-
l’opera cominciata da Gentile.
Ho richiamato la nozione della «parabola Gentile-Garin» – di cui aveva parlato
Girolamo Cotroneo a proposito dell’intenzionale disimpegno da parte del secondo
dall’assillo del ‘problema filosofico’ – in mie pagine nelle quali segnalavo anche l’incli-
nazione di Garin a sottrarsi al conflitto teorico tra i diversi ‘storicismi’, e quindi anche
al dibattito annoso sulle ‘origini dello storicismo’ (e sul posto di Vico entro queste). Mi
sia consentito rimandare su ciò a E. N
UZZO
,
La questione delle ‘origini dello storicismo’
nella cultura italiana del secondo Novecento
, in
I percorsi dello storicismo italiano nel
secondo Novecento
, Quaderni dell’«Archivio di storia della cultura», Nuova serie – 3,
Napoli, 2002, pp. 215-274, saggio ora riproposto nel mio libro poco su citato
Storia ed
eredità della coscienza storica moderna
, pp. 28 e 64 sgg.
Per quanto riguarda la letteratura critica su Garin, un contributo precoce, e ancora
non privo di interesse, all’indagine sulla sua figura intellettuale fu già quello di N. T
ER
-
RANOVA
,
Eugenio Garin
, in «Belfagor» XI (1956), pp. 425-446. Saggi importanti su
Garin si leggono – si è cominciato a vedere – nel citato volume collettaneo
Eugenio
Garin: il percorso storiografico di un maestro del Novecento
. Può essere tenuto presente
anche il libro
Tra scienza e storia. Percorsi del neostoricismo italiano: Eugenio Garin,
Paolo Rossi, Sergio Moravia
, a cura di F. Cambi, Milano, 1992.
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